(Galli della Loggia) Conflitto in Ucraina: invito a negoziare, ma cosa?

Èdall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che in Italia risuona con insistenza la parola negoziato. Tutto il fronte che si autodefinisce «contro la guerra» (come se ce ne fosse uno a favore della guerra e non già, come invece c’è, semplicemente a favore della resistenza all’aggressione russa. E poi ci si faccia capire: chi nel 1939 appoggiava la resistenza della Polonia contro il Terzo Reich era anche lui «a favore della guerra»?) invoca la necessità del negoziato.

Un negoziato subito, in alternativa, si dice, all’invio di armi a Kiev in cui sono impegnati la Nato, gli Usa e l’Unione Europea. Dal momento che aiutare militarmente l’Ucraina, si aggiunge, servirebbe solo a «prolungare la guerra» e — lo si fa capire — ad aiutare gli ucraini nella incomprensibile volontà di suicidarsi in massa opponendosi all’esercito di Putin. È anche per il loro bene, perciò, che bisogna puntare invece al negoziato convincendo innanzi tutto gli Stati Uniti a smettere di voler combattere la Russia «fino all’ultimo ucraino», come i cosiddetti pacifisti amano dire.

Negoziare dunque. Ma il termine negoziato è una parola vuota se non si indica almeno all’incirca intorno a che cosa negoziare, gli eventuali termini di un possibile accordo. Chissà perché invece su questo punto, che come si capisce è il punto davvero dirimente, i fautori del negoziato osservano da sempre il più assoluto silenzio. Da più di due mesi invocano il negoziato, intimano a Draghi di darsi da fare per sollecitarlo, ma si guardano bene dal dire quali, a loro avviso, potrebbero o dovrebbero esserne i termini: ciò che tra l’altro consentirebbe a tutti di misurare la plausibilità di quanto essi auspicano.

Negoziare vuol dire procedere a uno scambio: dare qualcosa e ottenerne un’altra. Ebbene, che cosa secondo i pacifisti nostrani dovrebbe concedere ad esempio l’Ucraina? Quale concessione che possa verosimilmente soddisfare le esigenze della controparte russa fino al punto di convincerla a cessare l’invasione? E che cosa di analogo, secondo loro, potrebbe concedere Putin a Kiev? Se non ci si esprime su questo punto, se ci si rifiuta pilatescamente di compromettersi circa quella che si ritiene una soluzione accettabile dello scontro, allora chiedere il negoziato rischia di significa solo una cosa: dichiarare la propria indifferenza a quale che possa essere la soluzione del conflitto purché questo finisca. Il che però, come si capisce, trasforma l’invocazione al negoziato in una vuota chiacchiera demagogica o in una virtuale capitolazione di fronte all’aggressore.

La verità è che il fronte pacifista preferisce non parlare di contenuti del negoziato perché è maledettamente difficile immaginare quali possano essere: e lo dimostra il fallimento di tutti tentativi fatti finora compreso l’ultimo compiuto da Zelensky pochi giorni fa. Può Mosca infatti dopo gli altissimi prezzi politici, militari ed economici che ha pagato per l’invasione accontentarsi del riconoscimento da parte di Kiev del possesso della Crimea e mettiamoci pure del Donbass e di qualche altra area occupata di recente con l’aggiunta magari di un impegno ucraino a una forma di neutralità? È difficile crederlo. Ma d’altra parte è ancora più difficile credere che l’Ucraina sia disposta a concedere quanto sopra. È difficile credere che essa possa accontentarsi di nulla di meno che del completo ritiro dei russi dai territori occupati, di qualche forma di accordo sullo status della Crimea e del Donbass nonché del riconoscimento da parte di Mosca del suo diritto ad entrare nella Ue con una garanzia internazionale circa la propria neutralità. Altrettante concessioni che però a Putin non possono che risultare inaccettabili equivalendo in pratica a dichiarare ufficialmente la propria sconfitta.

In realtà per arrivare a una conclusione positiva ogni ipotesi di negoziato ha bisogno preliminarmente che la situazione sul campo si modifichi in via più o meno definitiva a favore di uno dei due contendenti, ovvero che entrambi si trovino per una qualunque ragione nella comune impossibilità di continuare a combattere. Finché una di queste due ipotesi non si verifica ogni invocazione a mettersi intorno a un tavolo per arrivare a un cessate il fuoco e a una soluzione del conflitto ha ben poche possibilità di essere accolta. E qui in Italia continuare a invocare il negoziato per il negoziato, come stiamo vedendo da settimane, serve solo a uno scopo: travestire con i panni del devoto «amante della pace» chi in realtà è contro l’invio di aiuti militari all’Ucraina, ne vuole la resa, ma non ha il coraggio di dirlo. Oppure semplicemente non sa quello che dice.