Come in altre occasioni, anche nelle controversie che ha suscitato l’invasione russa dell’Ucraina, si confrontano due diverse concezioni della politica internazionale. Per la prima, il mondo è l’equivalente di una grande scacchiera ove i potenti (o supposti tali), coloro che stanno al vertice degli Stati, muovono l’uno contro l’altro i vari «pezzi», gli altri esseri umani: le persone comuni sono sempre manovrate da quei potenti a loro piacimento, spostate da un punto o l’altro a seconda dei loro desideri e scopi. Per la seconda concezione quegli esseri umani sono senzienti e pensanti, non sono i passivi e inerti pezzi di una scacchiera. A seconda delle loro credenze o del loro interesse, possono a volte seguire, con entusiasmo oppure solo per quieto vivere, le indicazioni dei capi di Stato o inchinarsi ai loro ordini ma a volte no. E se decidono per il no possono mandare all’aria i disegni dei potenti e influenzare il corso della storia.
Immaginiamo che cosa sarebbe successo se gli ucraini, al momento dell’invasione, avessero scelto immediatamente, a schiacciante maggioranza, di arrendersi perché contenti di essere «liberati» dai russi (come immaginava Putin) o perché desiderosi di salvare la vita anche a costo di finire sotto il giogo di una dittatura.
In tal caso, la Russia si sarebbe impadronita subito dell’Ucraina. Le cancellerie occidentali avrebbe fatto qualche dichiarazione di protesta, e nulla più.
In seguito, quando sarebbe iniziata la inevitabile «de-nazificazione», ossia la caccia, casa per casa, degli oppositori (dei quali certamente i servizi segreti russi avevano già preparato la lista), l’Occidente avrebbe definito intollerabile la violazione in atto dei diritti umani (come nei casi di Hong Kong o della Bielorussia, più o meno). E tutto sarebbe finito lì. Il fortissimo «partito filo-russo» presente in Italia e in Germania non avrebbe smesso di fare i suoi soliti affari con Mosca. La Russia avrebbe continuato a sfruttare ogni opportunità per influenzare le fragili, aperte, permeabilissime, democrazie europee.
Naturalmente, la riconquista dell’Ucraina avrebbe cambiato la carta dell’Europa. L’inerzia occidentale avrebbe rafforzato la convinzione di Putin e del suo gruppo che l’Occidente sia una civiltà morente, finita. Per l’impero risorto, l’Ucraina sarebbe stata solo l’inizio. Dopo qualche tempo sarebbe probabilmente toccato alla Moldavia. Baltici e polacchi (Nato o non Nato) avrebbero presto sentito sul collo il fiato del predatore. E la guerra mondiale sarebbe stata a quel punto assai probabile, se non inevitabile.
E invece no. Quegli ucraini hanno deciso diversamente. Hanno deciso che bisognava combattere. Ricordo un servizio televisivo alla vigilia dell’invasione. Ragazzi e ragazze, studenti per lo più, che, da volontari, preparavano sacchi di sabbia in vista dell’imminente attacco. Come tanti altri. Certo, c’è Zelensky. Se se la fosse data a gambe come molti prevedevano, avrebbe creato disorientamento e il morale degli ucraini sarebbe crollato. Ma nemmeno Zelensky avrebbe potuto fare alcunché se tanti «piccoli grandi uomini» e tante «piccole grandi donne», persone di cui non conosceremo mai i nomi, non avessero scelto di resistere. È stata la loro resistenza che ha cambiato tutto. Senza quella resistenza né Biden né gli europei avrebbero mosso un dito. E non sarebbero bastati gli sforzi fatti dalla Nato per rafforzare l’esercito ucraino dopo l’invasione della Crimea del 2014. Il fatto che gli ucraini abbiano deciso di combattere e abbiano dimostrato di saperlo fare, rovinando la festa a Putin, ha dato la sveglia agli occidentali, li ha costretti a sostenerli. Quegli ucraini, come tanti granelli di sabbia, hanno bloccato gli ingranaggi della potente macchina da guerra russa. E hanno cambiato il corso della storia del mondo. Nei nostri talk show gli esponenti del partito filo-russo non riescono a nascondere di considerare quei cittadini ucraini — ostinatamente decisi a difendersi — alla stregua di scocciatori e guastafeste.