Lo scontro sulle concessioni balneari è l’eterno ritorno dell’identico, che riparte ogni volta dallo stesso punto, da un’impellente urgenza e finisce ogni volta allo stesso modo, con un imprescindibile rinvio. La decantazione di un problema fino alla sua putrefazione. L’Italia politica in purezza, insomma. E italianissime sono anche le forme di questa rappresentazione: un po’ sceneggiata e un po’ melodramma, un po’ commedia dell’arte e un po’ commedia all’italiana.
La storia è più o meno nota, ma vale la pena di ricapitolarla, perché pure gli equivoci e i falsi, di cui è disseminato il racconto di questa catastrofe annunciata, dicono qualcosa di chiaro e di vero del nostro dibattito democratico. In Italia si sa quante sono le concessioni balneari per attività turistico-ricreative, circa trentamila e si sa quanto fruttano ai comuni per canoni di concessione, circa cento milioni l’anno. Secondo una stima autorevole, tre concessionari su quattro corrispondono un canone inferiore ai cinquemila euro all’anno.
Non si sa invece esattamente quanto gli stabilimenti balneari incassino ogni anno, anche ammettendo che fatturino tutto. La stima di Nomisma è di circa quindici miliardi, i sindacati di categoria dicono solo un miliardo, ma non spiegano come con un miliardo, tolte le spese, in questo settore possano campare le trentamila famiglie dei concessionari (che la riforma proposta dal Governo metterebbe sul lastrico), più quelle dei loro dipendenti e collaboratori.
Dopo anni e anni di rinvii, in cui l’Italia ha ricevuto ogni sorta di censura e di sanzione per avere continuato a assegnare e prorogare le concessioni balneari contro le regole previste dalla normativa europea, il Governo Draghi ha presentato un emendamento alla legge annuale sulla concorrenza per voltare pagina e iniziare ad assegnare le concessioni con gara pubblica, per altro sulla base di una disciplina molto prudente che favorisce gli attuali concessionari e in ogni caso riconosce loro un indennizzo a carico dei concessionari subentranti per il mancato ammortamento degli investimenti realizzati e per la perdita dell’avviamento connesso ad attività commerciali o di interesse turistico.
Puntuale è partito il solito circo, il solito stracciamento di vesti sulla svendita delle nostre spiagge alle multinazionali straniere o alle mafie criminali. Giù le mani dalle nostre spiagge. Evviva il sovranismo balneare. Altrettanto puntualmente, il provvedimento è stato bloccato in Parlamento, in attesa di una nuova proroga delle concessioni in essere (e di maggiori indennizzi): il che significa, nella sostanza, di indennizzi per spese che non risultano da nessuna parte e per un valore delle attività superiore a quello che i concessionari stessi continuano ufficialmente a dichiarare.
La cosa diversa questa volta, rispetto a tutte le altre, è che Draghi si è scocciato e ha tenuto pubblicamente a farlo sapere. Il che promette un finale diverso della commedia, ma non lo garantisce, perché la legalizzazione del regime delle spiagge contrasta con le leggi fondamentali della politica italiana, che in ogni nicchia di rendita individua una propria nicchia di consenso, facendo della democrazia un modo per campare di rendita sulle rendite altrui.
Questo, come si sa, è un rischio implicito nel sistema democratico, che tende a essere catturato da interessi organizzati e quindi influenti e ad abbandonare interessi pure molto diffusi, ma eterogenei e privi di rappresentanza. Però in Italia – nei partiti politici italiani, senza significative eccezioni, considerando i principali – questa patologia è considerata fisiologica, questa anomalia congenita del sistema democratico, che andrebbe sorvegliata e contrappesata giuridicamente, non solo è diventata di fatto, ma è anche considerata, in termini di diritto, la normalità, e tutti i vincoli opposti alla cosiddetta cattura del decisore – tipicamente le normative di derivazione europea, a garanzia della trasparenza e della concorrenzialità dei mercati – sono giudicati una vera e propria violazione della democrazia e usurpazione della sovranità nazionale.
In Italia, la malattia è diventata ufficialmente la salute e i portatori di interessi e i loro procuratori politici non devono neppure provare a nascondere favoritismi speciali dietro il paravento dell’interesse generale, perché l’idea prevalente è che non c’è alcun interesse generale che non sia il prodotto di questa democrazia di scambio e dell’universalizzazione politica del particolarismo.
Insomma, le spiagge fuorilegge sono l’altra faccia della medaglia di una democrazia fuori di testa.