Sul Corsera, nel Forum tv di Aldo Grasso, un forumista scrive di Gratteri dicendo: “Non è possibile che un magistrato vada ad Otto e mezzo ad esaltare le sue eccelse qualità dopo che è stato trombato per il posto di procuratore nazionale antimafia. Di un’autoreferenzialità imbarazzante. Forse meritava quel ruolo per capacità, professionalità e grinta. Per tutto ciò gli ndranghetisti gliel’hanno giurata! Ma l’uscita televisiva è stata un autogol clamoroso. Alla Gruber doveva opporre un no comment risoluto e garbato”.
“Ha un alto concetto di sé, e non ne fa mistero” gli risponde Aldo Grasso. Cosa ha detto dunque Gratteri a Lilli Gruber nella puntata di martedì 24 maggio?
ll premier Mario Draghi? “Non pervenuto”. “Sulla giustizia e la sicurezza non pervenuto. Sto vedendo solo che è un esperto di finanza ma sul resto mi pare che non tocchi palla”, è la sferzata del magistrato al premier. “E se lo fa mi preoccupa ancora di più, perché vuol dire che non sa cosa sta accadendo, lo sfascio” che avviene “nella testa degli italiani rispetto a questo procedere a maglie larghe”, è il duro attacco di Gratteri.
«Agli occhi della mafia sono un perdente ma ho l’affetto di migliaia di persone che mi dà ossigeno e mi fa stare bene». Nicola Gratteri rimarca una distanza che non è soltanto professionale ma anche umana: «Dopo la notizia dell’attentato che volevano compiere contro di me, né Draghi né la ministra Cartabia mi hanno chiamato», dice rispondendo a una domanda di Lilli Gruber. «Sì, ho paura ma ho imparato a parlare con la paura, ogni giorno». Quello della paura è un tema centrale, legato all’isolamento evocato dal direttore della Stampa Massimo Giannini. Gratteri, però, «circondato dall’affetto di migliaia di persone», supportato «da magistrati e investigatori fantastici», non si sente solo.
Il “no” del Csm alla sua candidatura a procuratore nazionale antimafia lo ha lasciato «dispiaciuto» ma non ne ha piegato il carattere. Riguardo al futuro, il magistrato dice: «Molti magistrati potenti non potrebbero fare altro nella vita. Io posso fare tante cose, anche il contadino: ho una buona manualità… Magari finirò al Csm a fare il guastacarte». “Promessa o minaccia?”, si potrebbe rispondere con una battuta, visto che ai “colleghi” del Csm Gratteri chiederebbe «chi sono stati i suggeritori» che li hanno convinti a impallinarlo. Nessuna risposta esplicita per ora, «anche se lo so», dice il procuratore.
Sulla nomina sfumata Gratteri, dopo una notazione sulle capacità di Giovanni Melillo, nuovo capo della Dna («bravo magistrato e ottimo organizzatore») spiega: «Sicuramente nella nomina alla procura nazionale antimafia, chi è iscritto a una corrente è molto, molto avvantaggiato. Io questo già lo sapevo ma ho fatto la scelta di non iscrivermi. Io non conosco nemmeno il 50% dei membri del Csm, non li riconoscerei nemmeno per strada, perché non li frequento. Io ho fatto domanda alla Procura antimafia perché pensavo di avere l’esperienza necessaria, facendo da sempre contrasto alla criminalità organizzata: non esiste nessun magistrato al mondo che abbia fatto più indagini di me sul traffico internazionale di stupefacenti e sulle mafie».
Quel “no” lo ha isolato come fu per Giovanni Falcone? Gratteri rifiuta paragoni: «Falcone e Borsellino? Due monumenti, due persone che ho scelto a modello ma sono di un’intelligenza irraggiungibile. Falcone capiva le cose vent’anni prima degli altri ed è per questo che è stato ostracizzato da tanti suoi colleghi gattopardi che poi lo piangevano sui palchi. Fu un eterno sconfitto, ma è un esempio irraggiungibile».
«La cosa che mi preoccupa di più – dice Gratteri – è la riforma dell’ordinamento giudiziario: ad esempio la separazione delle carriere. Bisognerebbe facilitare il passaggio tra procura e tribunale, perché così si ha la completezza del magistrato, io ad esempio so che cosa serve per arrivare a una prova grazie all’esperienza che ho fatto da giudice. Inoltre, se passa questa riforma, l’avvocato mi deve valutare ma perché non è possibile il contrario?». Per Gratteri «in questa riforma c’è molta rabbia, è una sorta di resa dei conti tra la politica, che nel corso degli anni ha accumulato molta rabbia, e la magistratura». E non soltanto quella: «Con questa riforma, chi fa il giornalista non può dare notizie. Ma l’indagato e il suo avvocato possono parlare e dare la loro versione dei fatti… Purtroppo la magistratura ha perso un’occasione in questi anni, poteva fare delle riforme interne ma non ha voluto cedere il proprio potere». E la riforma del Csm «non depotenzia le correnti, anzi. Si creeranno due poli nella magistratura, uno di destra e uno di sinistra. Io continuo a pensare che a una certa politica giovi che la magistratura sia in queste condizioni perché ad ogni scivolone è autorizzata a fare nuove modifiche normative, un antipasto per controllarne il potere. E state attenti a quello che succederà anche all’ordinamento penitenziario».
Con Renzi, Gratteri stava per fare il ministro. Lo racconta Palamara, a pagina 184 de “Il sistema”. Il 21 febbraio 2014 Matteo Renzi, disarcionato Enrico Letta, sale al Quirinale da Napolitano per sottoporgli la lista dei ministri del suo governo. E compie il primo, grave e decisivo passo falso, almeno per quanto riguarda la magistratura».
Gratteri ha raccontato il 20 febbraio del 2020, a “Di Martedì” di Giovanni Floris, come andò: «Il giorno prima della formazione del governo lo chiamò Graziano Delrio, maggiorente del Pd renziano, e lo convocò con urgenza a Roma per un incontro con Renzi, che non aveva mai conosciuto». Gratteri precisò di aver chiesto carta bianca per «ribaltare il sistema della giustizia». E Palamara aggiunge: «La cosa si seppe, perché Roma è sì tanto grande ma certe notizie girano veloci come in un borgo. Poteva un “Sistema” che aveva combattuto e vinto la guerra con Berlusconi e le sue armate farsi mettere i piedi in testa da Matteo Renzi e da un collega, molto bravo ma anche molto autonomo, fuori dalle correnti e per di più intenzionato a fare rivoluzioni?» Ed infatti «non era possibile», in quanto «si muovono pezzi da novanta del “Sistema”, il Quirinale è preso d’assalto dai procuratori più importanti – lo stesso Pignatone mi confiderà di aver avuto in quelle ore contatti – e dai capicorrente. Napolitano prende atto che la cosa non si poteva fare. Renzi, che come si vedrà non aveva capito che razza di potere ha la magistratura, testardo, sale al Colle con quel nome».
«Renzi con quella mossa sfida il sistema delle correnti e dei grandi procuratori, che da sempre vengono consultati preventivamente dal premier incaricato o da chi per lui per dare il gradimento a un nuovo ministro della Giustizia. Dopo aver asfaltato o almeno pensato di aver asfaltato il Pd, Renzi prova a fare altrettanto con la magistratura: qui ora comando io. E no, non funziona così»
“La mattina seguente – ha dichiarato Gratteri durante la Fiera Più libri, più liberi – avevo più di mille messaggi sul cellulare.
Alle 15.45 mi chiama Delrio e mi passa Renzi. Mi dice che sarei stato il ministro della Giustizia e che saremmo stati otto donne e otto uomini”. La risposta di Gratteri fu positiva, a patto di avere carta bianca come concordato. “I miei collaboratori – rivela – facevano il tifo affinché la cosa si concretizzasse, ma vedevamo in tv che la porta da cui sarebbe dovuto uscire il nuovo presidente del Consiglio con la lista dei ministri non si apriva”.
“Stanno litigando per me, dissi loro. Dopo un’ora e mezza mi chiama Delrio, ‘le volevo dire che il presidente non vuole lei. Ha detto che lei è un magistrato troppo caratterizzato’”. Vero motivo per il quale, secondo Gratteri, la sua nomina è stata bocciata dal presidente della Repubblica. “Da un lato – ha detto – ho tirato un sospiro di sollievo perché io amo in modo viscerale questo lavoro, però dall’altra mi sarebbe piaciuta l’idea di fare una rivoluzione e tutto che ciò che serve”.
Ripercorrendo la vicenda di Gratteri, è inevitabile richiamare il caso tragico di Giovanni Falcone, il quale una volta ebbe a dire in tv: «Per essere credibili bisogna essere ammazzati in questo Paese?» Falcone in vita è stato attaccato da tutti, oggi è un eroe.
Al giudice più competente in tema di mafia non passavano più inchieste in tema di mafia. Ecco perché il 13 marzo 1991 accettò di trasferirsi a Roma per dirigere l’ufficio degli Affari penali del ministero della Giustizia.
Fu in quell’ufficio che Falcone concepì una struttura investigativa sovraordinata alle singole Procure, così da assicurare, attraverso un Procuratore Nazionale, un coordinamento delle indagini. La Superprocura antimafia nascerà grazie ad un decreto del 20 novembre 1991 che tuttavia non consentirà a lui, Falcone, di raccogliere il frutto delle sue intuizioni: il fuoco di sbarramento che gli organizzarono contro fu inspiegabile e al limite del demenziale, ha scritto Filippo Facci su Libero. Tutti contro, a partire dall’Associazione nazionale magistrati. Era ormai isolato, snobbato dalla sinistra togata e da una parte dei moderati. C’era stato il sottovalutato attentato dell’Addaura del 21 giugno 1989, con l’esplosivo ritrovato sotto la sua casa al mare mentre il magistrato stava aspettando due colleghi svizzeri impegnati in un’inchiesta sul narcotraffico. In quel 1989 fu accusato di essersi piazzato la bomba da solo.
La vicenda, snobbata per decenni, sarà oggetto di un regolare processo giunto in Cassazione il 19 ottobre 2004: ottantanove pagine che confermeranno pesanti condanne per Totò Riina, Salvatore Biondino e Antonino Madonia, e che pure sanciranno che i servizi segreti di Stato non c’entravano un accidente, perché la responsabilità fu di Cosa nostra e basta.
Ma torniamo alla Superprocura nata a novembre 1991. Il 2 dicembre l’intero corpo dei magistrati scioperò «contro Cossiga, Falcone e la sua superprocura». Giacomo Conte, ex del pool antimafia di Palermo, il 6 giugno aveva definito il progetto della superprocura «quanto di più deleterio sia stato pensato in tempi recenti».
La vera coltellata che ricevette però era stata la pubblica lettera che annoverava, tra i primi firmatari, colleghi e amici come Antonino Caponnetto e Giancarlo Caselli e persino Paolo Borsellino: «Ci accomuna la convinzione che lo strumento proposto sia inadeguato, pericoloso e controproducente… fonte di inevitabili conflitti e incertezze». Seguivano 60 firme, data 23 ottobre 1991.
Falcone fu accusato di essersi venduto a Martelli, al potere politico. Leoluca Orlando fu un suo accusatore. Il il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone per conto di Orlando fu Alfredo Galasso: «L’aria di Roma ti fa male», gli disse. Si scagliò contro Falcone anche il direttore de il Giornale di Napoli, Lino Jannuzzi: «Falcone e Gianni De Gennaro… dovremo guardarci da due Cosa Nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma».
La colpa di Falcone era di flirtare con la politica. Il gruppo del Pds votò un emendamento ad hoc per escludere Falcone dalla carica di superprocuratore. Magistratura democratica definì la nuova Direzione nazionale antimafia «una grave lesione alle prerogative del Parlamento e all’indipendenza della Magistratura. Il bollettino della corrente, a pagina 155, parlava di «ristrutturazione neoautoritaria». I mesi che precedettero la strage di Capaci, per Falcone, furono orribili per lui quanto vergognosi per altri.
Una cosa è sicura, Falcone fu isolato e la magistratura d’intesa con la politica gli fecero la guerra. Tra i politici viventi forse solo Martelli può parlare avendo la coscienza a posto. Gratteri non è Falcone ma lo Stato italiano, e per Stato intendo tutti i suoi poteri, dopo la morte di Falcone e Borsellino deve difendere i suoi servitori a qualsiasi costo.
La differenza “politica” tra Gratteri e Falcone dovrebbe evincersi dal racconto che abbiamo fatto. Falcone a parte Martelli che lo chiamò a Roma, fu davvero isolato da tutti, destra sinistra e centro. Gratteri prima ha avuto Renzi che credeva in lui e oggi, come si è visto con le manifestazioni in suo favore, ha i suoi sostenitori, in Calabria si ritrovano dentro il mondo grillino e in una parte del Pd. Gratteri divide ma non è isolato. In attesa che Rinascita-Scott si concluda con la sentenza, non sono mancate le critiche a Gratteri la prima delle quali riguarda la sua sovraesposizione mediatica (stasera sarà al M. Costanzo show, ieri sera era dalla Gruber) e l’incessante produzione libraria con Nicaso. Ci si chiede dove trovi il tempo di scrivere i libri e lavorare, se li scrive davvero lui, pesa sul giudizio un suo errore, la prefazione ad un libro di un suo collega. Hanno scritto Caccia e Piccolillo (26/3/2021) su corriere.it: Il libro s’intitola Strage di Stato: le verità nascoste della Covid-19, lo hanno scritto il medico No Mask Pasquale Bacco e il giudice presso la Corte d’Appello di Messina Angelo Giorgianni, noti per le loro posizioni negazioniste. E la prefazione, ecco il punto, è proprio di Nicola Gratteri, non un nome qualsiasi, il procuratore capo di Catanzaro. L’icona della lotta alla ‘ndrangheta. Perfino Mario Draghi ieri si è sentito d’intervenire : «Lo avesse detto uno scienziato o uno stimato virologo…». Battuta al vetriolo. A chi e a cosa si riferiva? A una recensione su Il Foglio e a un titolo che ha scatenato un putiferio: «I deliri del libro sul Covid che Gratteri ha scelto di elogiare». Deliri del tipo: «I vaccini? Acqua di fogna» o «Il virus non uccide». Cose così. Draghi, dunque, si riferiva a lui?
E dunque, Gratteri con Draghi se la è legata al dito aspettando il momento di replicare come ha fatto dalla Gruber?