C’è una questione di merito e una di metodo. Sto parlando del dibattito relativo alle cause dell’aumento delle temperature su tutto il pianeta. Per quanto riguarda il merito è noto che una grandissima parte di scienziati, sia quelli riuniti sotto l’egida dell’IPCC, la struttura delle Nazioni Unite che si occupa di riscaldamento globale, sia quelli “indipendenti”, ritiene che la causa antropica, vale a dire l’immissione in atmosfera da parte di diverse attività tutte legate alla specie umana (industria, trasporti, ecc.), abbia aumentato a tal punto la concentrazione di diversi gas da avere prodotto per il potenziamento dell’effetto serra connesso un aumento delle temperature. A seguito di questa analisi molti governi e organismi internazionali, compresa, anzi per prima l’Unione europea, hanno messo a punto strategie di riduzione della CO2. Per la verità fino ad oggi con scarso successo. Dal 1990 ai nostri giorni, cioè da quando più o meno si è cominciato a parlare del problema, sono state immesse in atmosfera da parte delle attività umane le stesse quantità di gas “climalteranti” che erano state immesse in tutti i secoli antecedenti. Ma questo è un altro problema. Per tornare invece al merito della questione è bene però notare che vi è una minoranza di scienziati, alcuni dei quali noti e scientificamente inattaccabili, che ha una diversa opinione. Posizione per altro molto scomoda.
La scienza del clima ha un grande livello di complessità, con molte variabili. Esprimere dubbi non significa essere negazionisti
In Italia per esempio Franco Prodi, Zichichi, Rubbia. Non è quindi vero che vi sia su questa questione la stessa unanimità nel mondo della scienza che vi è per esempio sulla forza dell’accelerazione di un corpo che cade guidato dalla forza di gravità. Per diverse ragioni. La scienza del clima ha un notevolissimo livello di complessità. Le variabili che entrano in campo sono moltissime e non tutte facilmente stimabili sia nella loro forza sia nella loro direzione e velocità. Non è una scienza insomma che si sottopone facilmente a quel criterio di “falsificabilità” che secondo Popper distingue una scienza da una pseudoscienza. E infatti la stessa IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) usa spesso termini come “molto probabile” piuttosto che “certo”. Anche se per esempio le temperature cominciassero a diminuire, come è per esempio realmente avvenuto fra il 1940 e il 1970, e lo facessero anche ora per alcuni anni, questo non dimostrerebbe che la teoria è stata “falsificata” e che hanno ragione le posizioni critiche. Le fluttuazioni nelle temperature misurate nell’arco di pochi anni non hanno quasi significato. I cicli sono molto più lunghi e vanno misurati nell’ordine di secoli.
Fino a oggi le politiche atte a contrastare il riscaldamento globale non hanno mantenuto le loro promesse di equità
L’osservazione ci porta a constatare che nell’arco degli ultimi due secoli abbiamo avuto un aumento e che esiste una correlazione piuttosto stretta fra questi incrementi e la quantità di gas immessi in atmosfera. I critici di questa teoria hanno a loro volta diversi punti di vista. Alcuni negano completamente che questa correlazione significhi un rapporto causa effetto. Il mondo è pieno di correlazioni che non significano niente. Mutamenti climatici, affermano, ve ne sono sempre stati, abbiamo avuto epoche anche più calde di questa in periodi in cui la popolazione e le attività umane erano poca cosa e piuttosto dovremmo indagare altri fattori quali i cicli astronomici, le correnti oceaniche, le radiazioni solari, l’inclinazione terrestre, le nuvole, la concentrazione di vapore acqueo, e altri elementi ancora. Altri ritengono che certamente l’attività umana possa avere un effetto, ma richiamano l’attenzione anche su altre cause che agirebbero in sinergia. Se qualcuno vuole farsi un’idea di tutto ciò può leggere il libro di Steven E. Koonin, fisico e consigliere scientifico di Obama, “Unsettled. What Climate Science Tells Us, What It Doesn’t, and Why It Matters”. Un libro che non nega i fattori antropici, ma insiste sull’incertezza. Insomma un dibattito scientifico come ve ne sono in altri campi, in un’area conoscitiva per sua natura incerta. Se non fosse che la questione si è molto politicizzata.
Dall’accettazione o meno della teoria dominante discendono scelte politiche, tecnologiche ed economiche di portata epocale
Inevitabilmente perché dall’accettazione o meno della teoria dominante discendono scelte politiche, tecnologiche ed economiche di portata epocale. E la politicizzazione con le conseguenti mobilitazioni alla Greta Thunberg, hanno radicalizzato lo scontro.
E qui veniamo alle questioni di metodo. Perché i sostenitori politicizzati e intransigenti non vogliono nemmeno lontanamente prendere in considerazione che qualche altro elemento, che non sia l’homo sapiens e la sua cattiveria, con l’aggiunta del capitalismo e delle multinazionali, possa essere tenuto in conto come eventuale responsabile del mutamento climatico. Se appena qualcuno accenna a un dubbio o cita qualche teoria che definisce la storia come un po’ più “complessa” scatta l’accusa: “negazionista”. Negazionista è diventato il peggiore insulto che l’agenda del politicamente corretto pensa di rivolgere ai suoi oppositori, equiparandoli a quanti negano l’esistenza dello sterminio degli ebrei. E già questo dimostra l’enormità della cosa. Se sei accusato di essere un “negazionista” sei automaticamente escluso dal novero dei giusti e sei responsabile di delitti inimmaginabili. Esagero? Un ex ministro del movimento 5 stelle ha proposto su twitter di stilare una lista pubblica di “coloro che hanno trascurato o negato il cambiamento climatico per chiedere i danni del loro negazionismo”. Una lista di proscrizione vera e propria insomma in cui includere anche Rubbia e Zichichi. Un altro gruppo di ambientalisti piuttosto noti ha inviato un appello ai giornali perché non publicassero più alcun parere che mettesse in discussione la responsabilità umana nei cambiamenti climatici. E la rete è piena di vere e proprie liste di di presunti “negazionisti” con l’invito rivolto a Università, Accademie e Istituzioni a liberarsene al più presto. Una nuova e radicale forma di totalitarismo ideologico. E pedagogico. Solo ciò che educa le masse come dico io può essere pubblicato. Ma il bello è che tutto questo avviene “in nome delle scienza”. Cioè la scienza, anziché essere per definizione aperta al dubbio, alla tolleranza e alla discussione diventa il manganello e l’olio di ricino da somministrare agli oppositori. Con un paradosso. Il movimento ambientalista è nato proprio sul dubbio. Ha messo in discussione la cosiddetta neutralità della scienza rifiutando il dominio della presunta “scientificità” di alcune scelte. E ha cercato in un dibattito aperto di mostrare la validità di altri punti di vista. Ora è assolutamente normale e giusto che oggi esso faccia leva sui rapporti dell’IPCC per chiedere una svolta nelle politiche energetiche e industriali. Ma è letteralmente mostruoso che per fare questo pretenda di esiliare dalla comunità umana ogni voce dissonante. Un altro argomento usato è quello per cui queste posizioni scettiche rappresenterebbero un’infima minoranza a fronte di un 99 per cento di scienziati decisamente schierati a favore della teoria dell’IPCC. Una ragione in più, se così fosse, per domandarsi perché sia necessario tanto accanimento nei confronti appunto di un’esigua minoranza.
Sul riscaldamento globale io la penso più o meno come l’IPCC. Penso inoltre che in ogni caso ridurre la CO2 presente in atmosfera produca come derivato benefici sull’impatto ambientale complessivo che possono migliorare la qualità delle nostre società. Ma con realismo e spirito critico. E senza dogmatismi che hanno ormai fatto perdere ogni senso della realtà e attribuiscono al riscaldamento globale qualsiasi fenomeno metereologico appena anomalo. Persino le normalissime grandinate estive. E soprattutto con un punto da tenere ben presente. Fino ad oggi le politiche atte a contrastare il riscaldamento globale non hanno affatto mantenuto le loro promesse di equità e addirittura di miglioramenti delle condizioni di vita delle popolazioni. E’ avvenuto e sta avvenendo esattamente il contrario. Soprattutto ora con una crisi che aumenta le aree di povertà. L’intransigenza ideologica non è un rimedio a questa situazione. Casomai l’esatto contrario con la conseguenza della perdita di consenso. E senza consenso non si va da nessuna parte. Almeno in democrazia. Che dovrebbe essere il contrario del totalitarismo ideologico.