(2017-28/10) Qualsiasi lavoro e attività umana sono correlati col tempo. Quanto tempo occorre? è la domanda che facciamo al meccanico o all’ingegnere, al medico o all’impresa che deve svolgere un lavoro in nostro favore. In qualsiasi settore tranne nella scuola italiana (analizzata nel mio libro La fabbrica dei voti finti, Armando Editore), ormai davvero alla ricerca ossessiva (è una metafora) di nuove cure per studenti con una malattia ben identificata: non intendono più studiare. Ora la domanda è la seguente: possiamo continuare a richiedere ai medici-prof inedite innovative cure se prima di tutto non fissiamo il tempo occorrente e se gli studenti non si recano più negli studi medici? Le cure di ultima generazione, modernissime (una per tutte la flipped classroom) diventano, come certi contributi, figurative. L’apprendimento degli studenti (e anche degli adulti) ha necessità di buone “relazioni” con l’insegnante continuative nel “tempo” e sedimentazione, così come le auto hanno bisogno di benzina e delle strade. Nella scuola delle competenze e dell’innovazione metodologica-didattica invece si prescinde da tale assunto, il quale è pure alla base del calcolo dei crediti universitari, proporzionali al tempo di studio occorrente. La cd didattica brevissima ha messo d’accordo studenti e docenti che meno si vedono e meglio stanno. Eppure nella scuola secondaria il monte-ore annuale è normato e può anche portare all’esclusione dallo scrutinio finale, ma come succede sempre nell’Italia dove la forma ha preso il posto della sostanza (siamo in tutti i campi il paese del tarocco, che compra beni contraffatti e li spaccia per originali), uno studente giustifica le sue assenze (con falsi certificati) e il gioco è fatto. Come per far nascere un bambino occorrono nove mesi, come per abbronzarsi occorre prendere tanto sole, per quale artifizio formalista uno studente deve esser valutato se non ha seguito per intero il monte-ore annuale? Si sa, il formalismo è connotato storico del nostro paese (Chi siete? […] Cosa portate? […] Sì, ma quanti siete? […] Un fiorino!), a meno che un termine non sia tassativo. Nella scuola non c’è nulla di tassativo o reale, per cui, per capirci, lo studente sarà scrutinato in matematica anche se delle 99 ore previste nell’anno in quella classe (3×33 settimane) ne ha seguite in realtà 20, perdendone 79. Da queste 20 vanno sottratte poi le lezioni perse per assenza del docente titolare, magari supplito da collega di altra materia. Insomma, se abbiamo stabilito che nel primo anno del liceo l’alunno Rossi deve esporsi al sole per 99 ore, come si può confidare che si sia abbronzato dopo poche ore? Abbiamo abbondato e invece di 99 ore ne bastano 20? Ma rendiamo tassative le 20 senza eccezione alcuna. Il paradosso è che magari Rossi, per la sua storia pregressa e per i suoi prerequisiti, non di 99 ore avrebbe bisogno ma del doppio, rispetto ad altro alunno. Questa mia argomentazione la scrittrice Paola Mastrocola l’ha declinata con i termini Studio 1 e Studio 2 (La passione ribelle, 2016): “Forse potremmo dir così, che la parola “studio” ha oggi come per miracolo due significati…Detto in breve, quando diciamo “studiare” intendiamo andare a scuola, avere un’istruzione, procurarsi un titolo, possibilmente una laurea (quel che oggi si chiama percorso formativo); non intendiamo invece quasi mai l’altro significato del verbo: l’atto in sé, stare sui libri, passare ore chiusi da qualche parte, isolati, concentrati, fermi. Studio 1 e Studio 2. Per avere un’istruzione bisogna stare tanto, sui libri. E cartacei o digitali che siano, nulla cambia“.
Ecco, lo “stare tanto sui libri” noi, con una furbizia degna del Brighella della commedia dell’arte, pur avendolo specificato, non intendiamo attuarlo. Noi ci lamentiamo che gli studenti non studiano a casa, ma non badiamo più a quante ore effettive studiano a scuola, ecco la nostra cattiva coscienza. “Siccome nessuno ha più voglia di studiare, noi smantelliamo l’universo dello studio. L’idea geniale è che si tratti di adeguarci al cambiamento, assecondarlo invece di arroccarci”. Alle scuole attraverso il Ptof il Rav e il Pdm si chiede come intendano migliorare gli apprendimenti degli alunni. E le risposte consistono in migliaia di strategie, progetti, corsi, senza che nessuno che voglia dare, prima, la risposta più ovvia: il Re è nudo, gli apprendimenti migliorano se le ore stabilite per apprendere siano effettive. Dopo aver restaurato questo principio reale e pragmatico, passeremo a tutte le innovazioni possibili ed immaginabili dell’insegnamento, la prima delle quali è limitare la lezione frontale che costringe gli allievi in una posizione passiva.
“Oggi non si studia più. È da predestinati alla sconfitta. Lo studio evoca Leopardi che perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane solo come un cane. È Pinocchio che vende i libri per andare a vedere le marionette. È la scuola, l’adolescenza coi brufoli, la fatica, la noia, il dovere. È un’ombra che oscura il mondo, è una crepa sul muro: incrina e abbuia la nostra gaudente e affollata voglia di vivere nel presente.
Lo studio è sparito dalle nostre vite. E con lui è sparito il piacere per le cose che si fanno senza pensare a cosa servono.
La cosa più incredibile è che non importa a nessuno” (Paola Mastrocola).
Se importasse, il Miur dovrebbe stabilire che non si può essere promossi se uno studente non ultima il monte-ore annuale per ciascuna materia. Se per guarire da una frattura devi portare il gesso per 90 giorni è la stessa cosa se te lo togli dopo 30? Notate il verbo “ultimare”. Ultimatum ed effettivo in Italia sono termini che la Crusca ha espunto dal vocabolario, la nostra democrazia ha deciso che gli ultimatum e l’effettività siano come il Festivalbar, le cassette, i gettoni telefonici, gli Startac. Oggetti del passato.