Francesco Guerrera/L’eredità di Draghi

(da Repubblica) Il governo Draghi stava traghettando l’Italia verso la normalità economica. Ora, beh, ora non si sa dove il Paese andrà a finire. È questo il messaggio più importante dei fortissimi dati sull’occupazione usciti ieri. Record di occupazione, boom dei posti stabili, calo nel numero di “inattivi”, le persone che sono così disperate da non cercare più lavoro. Un check-up positivo per la salute del sistema-Italia pochi giorni dopo l’altra buona nuova proveniente dall’Istat: il Bel Paese è cresciuto più di ogni altra economia del G7 nel secondo trimestre dell’anno (sì, siamo stati più veloci anche della Germania).
Occhio, però alle date dei dati. Non sono recenti. I numeri sull’occupazione riguardano il mese di giugno mentre la corsa del Pil è avvenuta tra aprile e giugno.
Si tratta di una fotografia già sbiadita di un assetto politico-economico che non c’è più.

È vero che Draghi e i suoi tecnocrati sono ancora in carica, e probabilmente riusciranno a pompare un po’ di miliardi nell’economia prima di fare le valigie. Ma la realtà è che a rimpiazzarli sarà un’incertezza politica lunga, confusa e traumatica, seguita da un governo, di qualsiasi colore esso sia, le cui capacità gestionali e programmatiche saranno tutte da verificare.
I dati di ieri ci dicono che l’Italia poteva diventare l’Incredibile Hulk dell’economia mondiale, i fatti di questi giorni e dei prossimi mesi rischiano di trasformarla in Benjamin Button.
Festeggiamo, almeno per un momento, il risultato. Avere il tasso d’occupazione più alto dal 1977 (il primo anno in cui è stato misurato) non è da poco. Né va sottovalutato il fatto che la “qualità” dei posti di lavoro sia aumentata — più dipendenti, meno precari — un segno della fiducia delle imprese nel futuro.

Ma queste sono solo tappe, seppur fondamentali, in un lungo percorso di normalizzazione dell’anomalia-Italia. Basta guardare al tasso di occupazione — la percentuale di chi ha un lavoro tra la popolazione dai 15 ai 64 anni.
Il nostro record, raggiunto a giugno, è del 60,1%, molto al di sotto della media della zona euro di quasi il 69% e ancora più indietro rispetto ad un Paese-guida come la Germania, dove più di tre-quarti dei residenti hanno un lavoro. Almeno non siamo il fanalino di coda — la maglia nera la veste la Grecia — ma non possiamo certo parlare di locomotive o scomodare altre metafore trionfalistiche.

Siamo, o quantomeno eravamo, sulla strada giusta, ma i pericoli abbondano. Il “carrello della spesa” — i prodotti-base più acquistati dagli italiani — oggi costa il 9,1% in più dell’anno scorso, un’impennata che non si vedeva da 38 anni. E il resto dell’inflazione, spinta da salatissime bollette, è ancora altissima — un trend che sta erodendo il potere d’acquisto e il senso di benessere di milioni di famiglie, anche quelle con il lavoro fisso.
Ma il rischio più grande viene dallo stallo politico, un’inerzia debilitante che potrebbe mettere fine, o rallentare, le riforme dei tanti freni strutturali alla crescita economica del Paese, per non parlare dell’investimento dei miliardi promessi dall’Europa.
È questo il quesito più importante che gli elettori dovrebbero porre a chi si candida a guidare l’Italia:
avete ereditato una situazione favorevolissima, cosa proponete di fare per continuare su questa strada?
La risposta giusta sarebbe: “lavorare con serietà per raggiungere la normalità economica che altri Paesi hanno da decenni.” Sarebbe un vero peccato se la nostra economia deragliasse ben prima di aver raggiunto il rango di “locomotiva”.