Se Letta parla di scuola alla vigilia di Ferragosto

“La scuola siamo noi come popolo, come cresciamo”, ha detto il segretario del Pd Enrico Letta per sospingere con un soffio partecipativo e identitario quello che nelle intenzioni sarà uno dei punti chiave della campagna elettorale del suo partito: la scuola, appunto. La scelta del Pd è importante e interessante, anche considerando che nel programma del centrodestra c’è invece poco o nulla (“rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico”, messa così, più che una proposta, in teoria molto condivisibile, è solo un flatus vocis).

Dunque c’è molto spazio per la sinistra e per mettere la scuola al centro. Va però detto che Letta, definendo la Buona scuola (l’ultimo tentativo di riforma organica realizzato dal governo Renzi) “una riforma sciatta e non condivisa con la comunità scolastica”, parte con un piccolo ma significativo inciampo. Dice una cosa più sbagliata che ingiusta, ma allo stesso tempo dice forse proprio quello che intendeva dire: la “comunità scolastica” che più criticò la riforma Renzi fu infatti la platea degli insegnanti da minimo garantito, i precari che rischiavano di vedere prosciugato il loro ambiente di coltura e i sindacati, di cui una maggiore autonomia organizzativa avrebbe ridotto il potere. Quando Letta dice che bisogna ricostruire il rapporto con il mondo della scuola, sembra avere in mente innanzitutto un’ampia base elettorale da attirare o recuperare, più che le necessità degli studenti o delle famiglie, il “vero” mondo della scuola

Al centro degli otto punti annunciati dal Pd, più che un’idea di riforma strutturale e con uno sguardo al futuro, c’è una serie di generiche promesse, un po’ populiste e un po’ miracolistiche. “Aumentare gli stipendi degli insegnanti” è più che sacrosanto (ma bisogna iniziare a farlo premiando il merito: il contrario di quello che chiede “la comunità”), ma le risorse per farlo al momento sono quelle della legge 79 su reclutamento e formazione varata dal governo Draghi, non altre; le “scuole sostenibili e sicure” sono un obiettivo pacifico, e già individuato in precedenza, e le risorse fanno parte dei 18 miliardi del Pnrr che verranno impiegati nei prossimi anni. Annunciare nuovi 10 miliardi nei prossimi cinque anni – tenendo conto dei fondi che sono già stati previsti negli ultimi anni, cifre non piccole – sembra più che altro una promessa elettorale. 

Ma sono soprattutto altri punti del programma che paiono propagandistici, enunciati sapendo già che non saranno realizzabili. A parte il contestabile progetto di rendere obbligatoria la scuola d’infanzia, per “costringere” le amministrazioni locali a predisporre i servizi, un’idea da burocrazia sovietica, punti come “trasporti e libri gratuiti” e “mense scolastiche gratuite” sono slogan degni del grillismo d’antan. Per i trasporti bisogna discutere con le autorità (e i budget) locali; per riformare l’editoria scolastica e il rapporto insegnante-classe-libro non basta un colpo di penna; le mense già ora sono offerte in regime di prezzi politico-sociali. Il tutto, anche a prescindere dalla lecita domanda sulle coperture finanziare di tali provvedimenti. Ci sono ovviamente anche idee importanti, e urgenti, come l’adeguamento dell’organico di sostegno per le disabilità. Il programma annunciato dal Pd sembra una versione aggiornata del tradizionale uso della scuola come bacino di spesa sociale rivolta più a chi ci lavora che a chi deve studiarci. Si può osare di più.

(scoppetta) Quanto all’aumento degli stipendi degli insegnanti, che hanno creduto a Grillo quando nel 2018 con astuzia promise loro una vita migliore, vedremo stavolta da chi si faranno abbindolare. Io che non devo essere votato da nessuno continuo a dire da troppi anni che dare un aumento consistente a tutti non è possibile perchè la torta è troppo piccola. Nei paesi, come la Germania o la Finlandia, dove i docenti sono pagati bene,
fanno in ingresso una selezione durissima per cui diventare docente è alla portata di pochi. Qui da noi le porte d’ingresso sono spalancate, per precisa scelta politica, così si forma il precariato che si sana poi spesso con abilitazioni farlocche. Per cui, se la torta degli stipendi resta piccola, l’unica cosa da fare sarebbe dare una fetta più grande agli insegnanti bravi. In questo modo quelli non bravi o si accontentano oppure cercano di diventare bravi. Solo che la valutazione, perchè di questo stiamo parlando, la devono fare i dirigenti, non si scappa. Troppo potere? No, perchè anche loro saranno valutati e dunque solo in questo modo si risolvono i problemi della scuola italiana, con un meccanismo che seleziona il personale (non in entrata ma) durante la carriera. Naturalmente siccome i sindacati e chi ha la tessera hanno imposto l’1 vale 1 anche nella scuola, le mie resteranno utopie, sogni che dimentichi da sveglio. Ma allora tenetevi la scuola così com’è.