Possiamo analizzare la politica italiana basandoci su un ipotetico elettore in carne ed ossa? E’ un gioco ma vedrete che attraverso di lui, che chiameremo Giorgio, potremo capire molte cose.
Giorgio vive in Calabria ed è laureato.
Intelligenza superiore alla media, buon reddito, coniugato. Del suo percorso politico diremo soltanto che avendo fatto l’università al Nord è stato prima comunista extraparlamentare, poi attraverso percorsi vari è finito dalle parti di Vendola, infine si è dichiarato schifato da tutto finendo col votare nel 2018 i 5Stelle. Poco male, è quello che al Sud hanno fatto in molti, come Giorgio finanche uno storico, opinionista del Corsera, Galli della Loggia, ha votato 5Stelle. Gli intellettuali finissimi ne sanno sempre una più del diavolo.
La domanda, fatte queste premesse, è come voterà Giorgio il 25 settembre. Luca Ricolfi, sociologo torinese, ha spiegato che “durante la prima Repubblica i partiti, sia pure con qualche piccola fluttuazione, venivano percepiti come disposti su un asse destra-sinistra: missini, monarchici, liberali, democristiani, repubblicani, socialdemocratici, socialisti, comunisti, psiuppini, demoproletari”. Il nostro Giorgio era dunque di estrema sinistra.
“Nella seconda Repubblica, ossia a partire dal 1992”, aggiunge Ricolfi, “questo genere di ordinamento non è stato più possibile, perché alla dimensione destra-sinistra se ne è aggiunta un’altra, che possiamo chiamare moderato-radicale, o pro-sistema anti-sistema. Due partiti, in particolare, hanno contribuito a rompere lo schema destra-sinistra: la Lega negli anni ’90, percepita come partito radicale né di destra né di sinistra; il Movimento Cinque Stelle negli ultimi dieci anni, percepito come partito anti-sistema, incollocabile sull’asse destra-sinistra.
Oggi tutto questo sta evaporando, perché la Lega è diventata un partito genuinamente di destra, e i Cinque Stelle, dopo l’alleanza con il Pd nel governo giallo-rosso, sono percepiti come un partito di sinistra”.
I 5Stelle, come ho spiegato già in precedenti articoli, in realtà sono populisti, e il bi-populismo non è né di destra né di sinistra. Di Battista ce lo spiega da anni e Grillo, cioè il padre padrone del marchio, se lo considerassimo di sinistra ci dovrebbero rinchiudere. Ma tutto questo è superfluo, i 5Stelle sono percepiti come un partito di sinistra. Questa è la verità che i Travaglio, Bersani, Bettini, tutta una parte del pd (Orlando, Provenzano) ci ripetono ogni santo giorno. In breve, il sistema politico – a dispetto delle ambizioni del Terzo polo di Renzi e Calenda – sta tornando bipolare.
“Cespugli a parte, c’è una destra fatta dei partiti di Meloni, Salvini, Berlusconi, e c’è una sinistra fatta dei partiti di Letta, Conte, Calenda. Quel che non è chiaro è come questi sei partiti si dispongano sull’asse destra-sinistra. O, per dirla in modo classico, chi siano i riformisti e chi siano i massimalisti entro i due campi”.
Torniamo al nostro protagonista, Giorgio, e aggiungiamo un elemento essenziale per capire cosa pensa. Utilizzando la “teoria economica della democrazia” di Anthony Downs (1957), Giorgio è il contrario di un liberista (che intende minimizzare l’interventismo statale per puntare alla crescita) perché è uno della sinistra “statalista” che vuole massimizzarlo per attuare la giustizia sociale. Il fatto poi che ancora nel 2022 si consideri anticapitalista, antimperialista (e magari pacifista anti Nato) lo deduciamo dall’amore sviscerato e rinnovato per i Santoro, Lerner e compagnia cantando. Ecco spiegato in breve perché Dibba (l’anima vera dei 5Stelle) e Salvini al fondo vanno d’accordo. La tax flax della Lega (con la rottamazione delle cartelle esattoriali) e la strenua difesa del Reddito di cittadinanza e del Bonus 110% del M5S, scompaginano l’asse destra-sinistra della I Repubblica attraverso il massimalismo.
Il massimalismo (iper-liberista della Lega e iper-statalista dei Cinque Stelle) ottiene e cerca consenso elettorale attraverso l’assistenzialismo, che altro non è se non la vecchia ricetta democristiana della Cassa per il mezzogiorno. Se il nostro Giorgio è dunque un massimalista, discendente storico della corrente di Serrati che nel 1924 aderì al Pci, è facile capire a questo punto a chi non voterà. Non voterà i moderati, il Terzo polo liberal-democratico di Renzi e Calenda e la Meloni, le cui idee sono molto meno massimaliste di quelle di Berlusconi e, a maggior ragione, di Salvini. Meloni per esempio non ama la flat tax ma per Giorgio è una fascista che si traveste per spacciarsi come moderata.
In questo nuovo scenario 2022 di massimalisti vs moderati, al nostro Giorgio sfugge completamente la realtà, cioè che “Giorgia Meloni e Carlo Calenda, da opposte sponde, stanno conducendo due operazioni speculari di contenimento del massimalismo. Il terzo polo è (anche) il tentativo di iniettare un po’ di liberalismo nella cultura statalista e pro-tasse della sinistra. Fratelli d’Italia è (anche) il tentativo di immettere un po’ di Stato nella cultura liberista e anti-tasse della destra”.
Or dunque, appurato che Giorgio è massimalista, di estrema sinistra iperstatalista-assistenzialista, a chi darà il voto in Calabria?
Ha solo l’imbarazzo della scelta, da Nico Stumpo sino a De Magistris e ai 5Stelle in versione Conte, lui sarà convinto che ancora una volta si sta battendo contro la Destra (quella cosa che Bersani chiama la mucca), ovvero il solito nemico che vuole toglierci le libertà dai tempi di Scelba e Di Lorenzo. In realtà stavolta, e non è la prima volta, i destini degli italiani si giocano tutti sul versante economico, perché pretendere che l’UE ci dia molti soldi mentre i sovranisti decideranno quali regole seguire e quali no, sarà davvero impossibile.