Un compromesso per accreditarsi con l’Europa. Una capriola per sopravvivere a slogan bellicosi impossibili da rispettare. Poche ore dopo la fine della campagna elettorale, Giorgia Meloni archivia le carezze politiche a Orbán e la promessa di “spezzare le reni” all’asse franco-tedesco. E si affida a Mario Draghi. Al suo “ombrello” con le Cancellerie continentali. Secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche di Parigi, Berlino e Bruxelles, il presidente del Consiglio in carica ha contattato Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Ursula von der Leyen. Garantendo per la leader di Fratelli d’Italia. E rassicurando i big dell’Unione sui tre pilastri che guideranno l’azione del futuro governo.
Si tratta di tre condizioni che l’ex banchiere ha preventivamente sottoposto alla leader di Fratelli d’Italia. E che Meloni si è impegnata ad accettare. Primo: il nuovo governo continuerà a sostenere l’impegno – anche militare – per l’Ucraina e a tenere unito il fronte delle sanzioni contro Mosca. Secondo: l’ancoraggio stabile e indiscutibile alla Nato, senza tentennamenti o smarcamenti. Terzo: non approverà nuovi scostamenti di bilancio, in modo da tenere sotto controllo il debito pubblico.
Il dialogo tra il premier e chi è destinata a succedergli va avanti da tempo, tra alti e bassi legati ad alcune sortite antieuropee di Meloni. Negli ultimi tre giorni si contano almeno due colloqui telefonici. Un’indiscrezione non confermata da fonti ufficiali parla anche di un faccia a faccia riservatissimo in una caserma a disposizione dell’esecutivo. Certa è, invece, l’operazione in corso. Che non è frutto di improvvisazione, ma figlia di un’esigenza politica vitale da cui dipendono i destini della leader: archiviare la piattaforma radicale sposata in campagna elettorale, virare verso i partner tradizionali di Roma. Sia chiaro: atlantismo, sanzioni contro la Russia e attenzione al debito pubblico rispondono a posizioni sostenute anche pubblicamente da Meloni. Ma è possibile garantire quei pilastri anche con Salvini e Berlusconi in squadra? È praticabile governare il Paese con chi predica spesa in deficit e tende la mano a Putin? E poi, è stata la stessa Meloni a contraddire l’approccio europeista, spaventando l’Europa.
“A Bruxelles è finita la pacchia”, aveva minacciato soltanto pochi giorni prima del voto. “Ho buoni rapporti con Orbán – aveva aggiunto – Credo che ci sia bisogno di un riequilibrio rispetto all’asse franco-tedesco”. Meno Parigi e Berlino, insomma, e “dialogo anche con le nazioni dell’Est”. Un’eresia, se si pensa alla stretta autocratica che si consuma da anni in Ungheria. E ancora: “C’è una sovranità europea da ridiscutere”. Fino al passaggio più sprezzante: “Non mi pare molto europeista l’idea di un’Unione in cui, tipo circolo del tennis, c’è un club di quelli più importanti, mentre gli altri sono secondari”.
Ma un conto è lottare in campagna elettorale, altro prepararsi a guidare un Paese in piena crisi sfidando alleati storici in nome dell’internazionale sovranista. I danni sarebbero enormi, gli effetti sui mercati devastanti, l’isolamento totale. Per questo, Meloni si affida a Draghi. E per la stessa ragione, l’attuale premier si espone per lei con le Cancellerie.
È una scelta dettata innanzitutto dalla volontà di difendere l’interesse nazionale, favorendo la collocazione europea e atlantica dell’Italia. Certo, Draghi non ha gradito i toni antieuropeisti di Meloni e ha giudicato un suicidio il voto di Fratelli d’Italia all’Europarlamento a favore di Orbán. Ma considera comunque doveroso fare il massimo per assicurare continuità al Paese, in nome di una transizione morbida. Non è un caso che proprio in queste ore stia prendendo forma il passaggio di consegne tra governi. Coinvolge Palazzo Chigi, il ministero dell’Economia e l’entourage di Meloni. Lo schema è quello dei “bilaterali”.
I protagonisti sono il capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, il sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli, il ministro dell’Economia Daniele Franco, il capo di gabinetto del Tesoro Giuseppe Chiné. Per Fratelli d’Italia, sono in prima fila – oltre a Meloni – il senatore Giovanbattista Fazzolari (che vestirà i panni di sottosegretario alla Presidenza nel prossimo esecutivo), Guido Crosetto e alcuni tecnici schierati dal partito. Non a caso, alcuni sherpa del centrodestra si sono recati proprio ieri a via XX settembre per studiare i numeri della Nadef.
Non bisogna però sottovalutare anche un altro dato, assai più pragmatico, legato al futuro del premier. “Non escludo per lui incarichi internazionali”, si è sbilanciato Crosetto. L’opzione più forte è quella di segretario generale della Nato, la cui nomina è in agenda per giugno 2023. Ha il vantaggio di una tempistica stretta. Sarebbe di certo gradita anche a Washington. E aprirebbe un ulteriore ombrello di protezione sull’esecutivo di destra, coprendolo sul fronte della collocazione internazionale. Altro che circolo del tennis da boicottare, la tessera di ospite è già in stampa.