Come ha scritto Dario Di Vico, “eravamo abituati a fare i conti con un sindacato di territorio del nord e dopo queste elezioni con tutta probabilità gli equilibri politici nazionali saranno anche frutto di un confronto serrato con le istanze di un sindacato di territorio meridionale. Dalla Lega nord di Umberto Bossi alla Lega sud di Giuseppe Conte, per dirla con una battuta a effetto.
La bomba sarà l’autonomia differenziata. Perché se è vero che Zaia si aspetta dal primo Consiglio dei ministri guidato da Meloni il semaforo verde per la legge quadro già pronta (“altrimenti usciamo dal governo”) è anche vero che a quel punto una scelta per l’autonomia differenziata si tramuterebbe in un formidabile assist per Conte, che potrebbe iniziare la sua prima esperienza da “Zelig” dell’opposizione parlamentare facendo proprio leva sull’avversione verso “la secessione dei ricchi”. E mettendo in difficoltà Meloni che nel sud già avrà i suoi grattacapi, nel tener fede alla promessa di eliminare il Reddito di cittadinanza, per cercarsene degli altri. Per carità siamo solo alle prime battute del dopo-urne ma la sensazione che in questa legislatura si parlerà del conflitto nord-sud più che nella precedente c’è tutta. Se non altro perché è un dossier che oggi pare intrecciarsi con l’identità e il posizionamento territoriale delle principali forze politiche”.
“Non possiamo più essere la protezione civile della politica italiana”, dice Letta. Ma se il Pd smette di essere la protezione civile, cos’è? Nessuno lo sa. Un partito socialdemocratico? Una forza liberal-centrista? Le alleanze, poi: se prevalesse la linea dell’alleanza con Conte, secederebbe l’ala destra. Se vincesse la spinta verso Calenda, se ne andrebbero quegli altri. “Fare un congresso per decidere se è meglio Conte o meglio Calenda ci porterebbe dritti all’estinzione”, dice l’ex presidente del partito Matteo Orfini. I dirigenti dem devono smetterla di pensare che l’identità derivi dalle alleanze. Occorre un progetto credibile e riconoscibile.
Occorre, secondo quello che auspico io, rompere il pd perchè nel suo
gruppo dirigente – il deep Pd, quel circolo che da anni gestisce il traffico del potere interno ed esterno e sopravvive ai segretari come i boiardi ai ministri, ci sono quelli che hanno un solo obiettivo, fare il pd a 5 Stelle. Se la si vuole smettere di parlare di alleanze (con i 5 Stelle o contro) occorre definire un progetto di cose da fare. Senza il giochino del “ma anche”: siamo per l’autonomia differenziata, si o no? Siamo per i rigassificatori o no? Per la concorrenza e il mercato o no? Per la statalizzazione delle industrie o no?
Da una parte occorre un polo lib-lab, riformista, socialista- liberale. Dall’altra una sinistra del CamaleConte, dei bonus e sussidi, del “piccolo è bello”, dei No a tutto, con i 5Stelle e i loro amichetti, da Travaglio sino ai Fratoianni. Se l’offerta politica progressista si chiarisse e si rivolgesse a due elettorati diversi, favorita da una legge elettorale a doppio turno che desse stabilità ai governi, sarebbe possibile in Italia avere un’alternanza democratica che preservasse sempre la stabilità e l’efficacia dei governi. Insomma, l’Italia, dopo l’occasione persa con il referendum del 2016, deve diventare una democrazia che assomiglia a Francia e Germania.
Mentre è in corso lo psicodramma del Pd che si annuncia infinito perché non è facile rispondere a stretto giro a due domande cruciali come il “che cosa siamo” e “il dove vogliamo andare”, la Lega Sud di Conte è pronta. Per presentarsi agli italiani, a quel 30% circa che non ha votato il centrodestra e a quel quasi 40% che non ha votato affatto
(16,5 milioni di italiani) , come l’unico avamposto da cui bersagliare le politiche della destra contrapponendo una politica fortemente di sinistra con concetti chiave come diritti civili, sostegno ai più poveri e ambiente. “Il Pd dovrà venirci dietro”, dice convinto ormai della sua supremazia. Ma tutti nel Movimento sanno benissimo di essere stati premiati perché si sono presentati da soli come quelli favorevoli a misure di protezione sociale e salariale, riuscendo così ad andare oltre 15%.
Ora, ragionando un pochino, pochi sono i consensi strappati al Pd dal M5S, contrariamente a quello che si poteva pensare. I votanti del partito di Conte sono in gran parte elettori storici dei Cinque Stelle e astensionisti intermittenti. Pochi partiti sono riusciti a scongelare gli astensionisti, solo Fratelli di Italia e Conte appunto. Il Pd ha un elettorato abbastanza stabile ma tra i flussi in uscita il più rilevante è stato quello verso Azione: una trasmigrazione di consensi che ha coinvolto fra il 10 e il 20% degli elettori democratici. È quanto risulta dalle stime dell’Istituto Cattaneo che ha analizzato i flussi elettorali di dieci città, confrontando le elezioni politiche del 25 settembre con quelle del 2018 e con le europee del 2019.
M5S recupera sull’astensionismo
Rispetto ai risultati del 2018 il M5s ha perso ovunque una larga quota di voti a favore dell’astensione. C’è poi, ecco il dato che a sinistra rimuovono perchè dimostra quanto sia falsa una storia che raccontano da troppo tempo (gli elettori 5Stelle sono compagni), una quota considerevole di voti grillini passati al centrodestra. Questi voti dopo aver premiato la Lega alle europee, ora si sono diretti in prevalenza verso Fdi. Rispetto all’astensionismo, i flussi sono però bidirezionali: in tutte le città il partito di Conte ha ingenti perdite, ma in alcuni casi ha anche elevati recuperi da questo bacino: entrambi i flussi sono indice di una forte contiguità di questo elettorato con l’area della protesta e della disillusione. Guardando ai flussi in entrata, sia rispetto al 2018 sia rispetto al 2019, il M5S attinge sostanzialmente a due soli bacini: quello dei suoi elettori più fedeli e quello degli astensionisti. Non si registrano insomma ingressi significativi da sinistra. I delusi del pd, quelli che non lo ritengono abbastanza di sinistra, non vanno a votare i 5Stelle. I delusi del M5S lo abbandonano rifugiandosi nell’astensionismo o a destra. Ecco allora che viene a cadere tutto il discorso travagliesco che si è innestato poi nella chimera del “campo largo”.
«I Cinque stelle vanno forte tra i giovani, tra i quali va considerato come la prospettiva occupazionale rappresenti un miraggio — spiega ancora Pagnoncelli —. Perciò una forza che mette al centro del programma “reddito” e salario minimo diventa molto attrattiva».
I Cinque stelle vanno forte tra i disoccupati . Pur avendo perso quasi 6,5 milioni di voti rispetto alle precedenti Politiche ha conquistato un buon 15,6% grazie alla martellante campagna del leader Giuseppe Conte, che negli ultimi 15 giorni ha fatto 25 tappe al Sud, concentrandosi sul sostegno con reddito di cittadinanza e salario minimo.
Una cosa è dire “dobbiamo coalizzarci tra diversi” come ha fatto la destra perchè il Rosatellum questo costringe a fare. Altra cosa è l’insulso storytelling che va avanti dal 2013 in base al quale i grillini sono di sinistra e avrebbero raccolto la bandiera rossa che il pd ha abbandonato per terra. No, i grillini sono populisti, e adesso, nel 2022, sono populisti meridionali dove, per farsi votare da disoccupati, camorristi, poveri, insomma dalle plebi, hanno portata avanti un proposta politica con al centro il RdC e il Bonus 110% (che interessa anche ai lavoratori edili). Tutto il resto, ecologismo ideologico, decrescita felice, pacifismo putiniano, diritti, pensioni, antiglobalismo, serve per accalappiare l’estrema sinistra italiana, e anche Landini, al quale non gli devi toccare le pensioni, i salari stabiliti dai contratti collettivi, e i posti di lavoro salvati dall’inustria di Stato.
Per capirci, prendiamo le misure per la concorrenza che l’UE ci chiede, e che tirano in ballo balneari e taxisti. Vedremo come gestirà la cosa la Meloni, ma state sicuri già da ora che Conte Intillimani non starà dalla parte dell’UE ma dei balneari.
(claudio bozza, Corsera) «Queste elezioni, ancora più delle precedenti, hanno evidenziato come siano venuti meno i tradizionali gruppi di riferimento di ciascun partito». Il primo dato sottolineato dal sondaggista Pagnoncelli è come Fratelli d’Italia, conquistando quasi 6 milioni di consensi in più rispetto al 2018, «sia diventato il partito più votato dagli operai (34,6%). A ruota, tra le tute blu, ci sono poi il M5S (16,4%) e la Lega (13,4%), mentre solo al quarto posto c’è il Pd, che sarebbe l’erede storico della sinistra».
FdI è il partito più votato da chi ha redditi medi e bassi, ma anche dal ceto più ricco (23,4%). FdI è la forza più votata da impiegati e insegnanti, da sempre roccaforte dem (quota scesa al 21%).
Per quanto riguarda il livello di istruzione, il partito più votato dai laureati si conferma il Pd (24,8%), seguito da Fratelli d’Italia, che però riceve il maggior numero di consensi anche da chi ha livelli di scolarità minimi (29%).