Nostalgia di quando la sinistra non era nè riformista nè liberista ma Bertinotti

La classe operaia non ci vota più, vota a destra, è il lungo lamento di questi ultimi anni a sinistra. Interpellati i chierici, gli intellettuali della sinistra dè noantri che sanno sempre tutto,  hanno finalmente spiegato la causa. Si chiama “liberismo”. Per colpa del “neoliberismo”, malattia mortale della sinistra comunista, il popolo vota a destra. Alla prima riunione del comitato degli 87 “costituenti” del Pd che intendono rivedere il manifesto dei valori che Walter Veltroni fece approvare a febbraio del 2008, l’economista Emanuele Felice ha spiegato: “il manifesto dei valori del 2007 è stato scritto in un’altra epoca storica e disegna un partito a vocazione centrista, blairiano, simbolo di un tempo in cui la narrazione dominante fosse quella neo liberista”. Il bersaniano-dalemiano Roberto Speranza ha aggunto che dal Pd va “espunto il liberismo che si è insinuato al suo interno”

Ormai nel 2022 si sente dire che bisogna battere il liberismo così come nel ’68 si sentivano cori sullo “stato borghese” da abbattere.

Nei tempi strani che viviamo ora vediamo il capo del M5S Giuseppe Conte in golfino a collo alto che abbraccia gli emarginati di Scampia, Conte travestito da esistenzialista francese in mezzo ai disoccupati di San Salvario a Torino, e ancora Conte, misericordioso in cappotto di cachemire fra i senzatetto della periferia sud di Milano… L’operazione di Rocco Casalino (nome in codice: “Madonna pellegrina dei diseredati”) è il populismo che in nome del reddito di cittadinanza porta nelle periferie la buona parola del sussidio (non avrai altro sussidio fuori che da me). Bastava andare in giro per le periferie d’Italia indossando – come a carnevale – il vecchio golfino del professor Sartre (operazione che un Casalino qualsiasi poteva inventare senza dover cambiare prima nessun Manifesto dei Valori) per rilucidare la sinistra.

La sinistra del Partito democratico intendiamoci è un gruppo nato vecchio, è formato dai nipotini  attuali della “ditta” che a malincuore ha accettato le capriole consonantiche che l’hanno portata da Pds a Ds a Pd. Le sue proposte si riducono, in buona sostanza, a una: superare il “neoliberismo” di cui sarebbe intriso quello stesso manifesto del Pd, scritto nel 2007.

La sinistra, non solo in Italia, è sempre più “sinistra”. Essendo l’unica parte politica che viva in un rapporto osmotico coi propri intellettuali, è destinata a somigliare al racconto che essi ne fanno.

Da alcuni anni la diagnosi dei chierici sui guasti della sinistra è diventata senso comune su certi giornali, in tv, nelle poche sezioni aperte rimaste : la sinistra perde perché ha smarrito il legame con la classe operaia. E’ successo che, non solo in Italia, si è smarrito il cd  voto “di classe”, per cui ora più si è poveri ed emarginati e più si vota Trump o la destra.  Già negli anni novanta D’Alema osservando un travaso verso la Lega del voto operaio al nord proclamò che la Lega fosse una costola della sinistra. Dopo il 2018 un sacco pieno di vento come Conte addirittura è stato considerato un compagno punto di riferimento fortissimo dei progressisti italiani. Alle ultime elezioni è stato FdI a primeggiare fra gli operai, seguito da Cinque stelle e Lega. Una ragione di tormento in più per i chierici, per aggiungere  alla perdita del voto operaio l’avanzata del fascismo sotto le forme della “madre, donna, cristiana” e quindi un’altra utile scusa per aprire i rubinetti della nostalgia.

Per rappresentare gli operai oggi, qui ed ora, che c’è di meglio che dire le cose che dicevamo quando effettivamente votavano per noi? Per gli intellettuali, era un’epoca d’oro: quella in cui le loro parole cambiavano davvero, se non il mondo, almeno le mozioni congressuali.

Pertanto a quelle parole, rivedute e corrette, sono tornati, magari orecchiando qua e là qualche Piketty in ascesa. Le parole d’ordine sono ovvie, diseguaglianze, precarietà, redistribuzione, ambientalismo, discriminazione di genere, diritti civili e sociali.

Niente di nuovo, tra l’altro, è la strada  che il Pd percorre da tempo. Anziché domandarsi se forse il Pd non abbia perso la sua “vocazione maggioritaria” perché è diventato assieme il partito “del governo” e del pubblico impiego, i chierici e i loro discepoli sostengono che ogni problema del partito venga da un peccato originale che, meglio di tutti, ha incarnato Renzi. L’iniziale “neoliberismo”. Prendiamo, per fare un solo esempio, l’approccio al problema dell’immigrazione, la direzione in cui si muove il pd. I sondaggi evidenziano da tempo verità scomode: sugli sbarchi la maggioranza degli elettori sta con il governo, e  la linea dura piace a circa un elettore del Pd su tre. Come si vede da questo unico esempio, il liberismo non c’entra nulla, c’è solo una rottura tra i sentimenti popolari e la linea politica. Il popolo esige sussidi e assistenza, ma anche protezione: non è favorevole ad una accoglienza piena a tutti quelli che intendono sbarcare sulle nostre coste.

Così come nel ’68 il Pci aspirava alle “riforme di struttura” mentre i gruppettari erano convinti che “lo stato borghese si abbatte e non si cambia”, oggi avercela con i neoliberisti, o i blairiani, tutto sommato significa riproporre gli stessi anatema che venivano lanciati verso tutti quelli che in Italia propugnarono e poi attuarono politiche di “modernizzazione”, tese ad avvicinare il paese alle altre liberaldemocrazie a economia di mercato. Quel che è avvenuto soprattutto nella legislatura del centrosinistra, 1996-2001.

Il vecchio partito della sinistra italiana, il Pci, è riuscito ad abbandonare nome e simbolo senza operare alcuna “revisione” ideologica,  attraverso una semplice “svolta”, per cui si immaginava che non ci fossero nodi da sciogliere né questioni da chiarire. Dentro di esso, per opera soprattutto di Veltroni, il tentativo è stato quello di costruire un partito a vocazione maggioritaria che consentisse l’alternanza di governo. Alla base c’erano l’adesione convinta all’alleanza atlantica e all’Europa, insieme con una politica (incarnata da Andreatta prima e poi Ciampi)  che rompesse il nesso perverso fra partitocrazia, corruzione e aumento incontrollato della spesa pubblica. Quando al governo è arrivata la sinistra, presidente del consiglio è stato un allievo di Andreatta, Romano Prodi, e ministro del Tesoro è stato Carlo Azeglio Ciampi. Le privatizzazioni di Telecom, Eni ed Enel, Autostrade, il pacchetto Treu sul mercato del lavoro, risalgono a quegli anni. Era “neoliberismo”? Pare di sì, perchè anche allora nel 1997 il governo lo fece cadere Bertinotti con Rifondazione comunista. 

Concludendo, tutti quelli che oggi ce l’hanno con il neoliberismo, ce l’hanno con i riformisti. Il pd secondo gli antiliberisti deve tornare a fare la sinistra alla Bertinotti, e quindi stare all’opposizione. L’unica cosa immaginata è pertanto intrupparsi con Landini e Conte, richiedendo allo Stato assistenza e sussidi. La vocazione minoritaria è rispuntata fuori e siccome questi rivoluzionari giocano a perdere, esigono, per coerenza, che anche gli ucraini si arrendano e finiscano di giocare questa loro guerra per procura. 

 

NOSTALGIA CANAGLIA
Sono tornati in tv i vecchi tromboni contro il liberismo e le guerre per procura