Scuola/Quegli studenti che parlano come gli adulti (e non vogliono il merito)

(4/1/23) A “Porta a Porta” Bruno Vespa fa incontrare il ministro Valditara con 4 studenti di vario orientamento politico, con il prof. Galli della Loggia e il presidente dell’ Associazione Presidi, Antonello Giannelli. Alla fine dell’anno 2022, con il governo  che ha insediato un Ministro dell’Istruzione e del Merito, gli storici futuri potranno agevolmente, rivedendo questa trasmissione, ridere di noi italiani. Adesso tento in poco spazio di definire esattamente di cosa rideranno (spero amaramente) i nostri storici che nel 2052, tra 30 anni esatti, prenderanno in esame quello che gli italiani dicevano sulla scuola nel 2022.

Dunque, una studentessa di sinistra ha negato decisamente che la parola “merito” abbia un valore nella nostra società, a lei più che riconoscere il merito importa riparare le ingiustizie sociali. Su precisa domanda non ha neppure voluto prendere in considerazione il merito dei docenti più o meno bravi.

Gli altri studenti, pur con affermazioni meno perentorie, anche loro non hanno approvato il concetto di merito, che il ministro ha invece declinato così: faremo formare alcuni docenti per farli diventare “tutor” e si occuperanno degli studenti svantaggiati e di quelli  che vanno male a scuola. Verranno pagati di più dei colleghi (i soliti corsi di aggiornamento per uno scatto di stipendio) e svolgeranno un altro compito all’interno delle scuole.

Lo storico Galli della Loggia ha ricordato che nella scuola di una volta esistevano le “note di merito” ed i concorsi, per cui un docente guadagnava di più attraverso il superamento di alcune prove. Il ruolo sociale importante dell’insegnante derivava dalla selezione che egli operava, per cui oggi un insegnante costretto a promuovere tutti  ha ridotto il suo ruolo a quello di semplice impiegato. Il preside Giannelli ha ricordato che in Italia non esiste una cultura meritocratica altrimenti nelle scuole dovrebbe essere il dirigente (come succede in Francia e in tanti altri paesi) con un ispettore a valutare il personale costruendo una carriera dei docenti.

Dalla discussione è apparso chiaro  che qualsiasi ministro di qualsiasi governo di qualsiasi fede politica non potrà cambiare la scuola italiana del 2023 se non vengono smantellati gli orientamenti culturali prevalenti degli studenti politicizzati che, ecco il punto, sono copia conforme e autenticata di quelli ultraconservatori dei sindacati. Ecco di cosa rideranno i posteri: di una scuola italiana negli ultimi posti delle classifiche internazionali di rendimento dove però gli indirizzi politici di studenti e sindacati coincidono esattamente.

I sindacati vogliono quello che gli studenti vogliono. Che cosa vogliono gli studenti nella stragrande maggioranza? Lo sappiamo tutti: la pro-mozione senza fatica. E i proff, e i dirigenti, e gli impiegati, e i bidelli? Guadagnare di più senza grossa fatica. Come sappiamo tutti, il nostro problema scolastico consiste nel fatto che riusciamo a realizzare solo i desiderata degli studenti ai quali però, così facendo, non riusciamo a fornire, neppure con la laurea e i master, un lavoro dignitoso.

Al contrario, aumentare lo stipendio del personale scolastico è operazione impossibile perchè l’unica operazione saggia, quella di  fare porzioni disuguali della torta salariale, premiando i migliori, non intendiamo farla, come se fossimo nell’Urss leninista del 1917.

Ma i posteri rideranno perchè sia il merito che la carriera dei docenti  in Italia non la vuole nessuno, non la vuole la sinistra, non la vuole la destra, non la vogliono i fascisti, i comunisti, i democristiani. Non la vuole nessuno, tranne due o tre liberali. Non c’è bisogno di essere indovini, fra 30 anni anche gli italiani avranno un proprio sistema scolastico molto più simile a quello degli altri paesi europei (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Finlandia) di quanto lo sia oggi.

Gli storici futuri tenteranno di capire come mai quello che per comodità in Italia chiamiamo “merito” nella nostra discussione pubblica sulla scuola sia oggetto di anatema, ormai un tabù ancestrale (le frasi presenti in Costituzione sono considerati reperti archeologici) che una società liquida coltiva e tramanda ai posteri.

Il re inglese Carlo III che è succeduto in questo anno alla mamma, la regina Elisabetta, è diventato re non per suo merito, ma per successione ereditaria. Il merito declinato dai nostri costituenti e dalla società contemporanea altro non è che un’affermazione di piena democrazia, la possibilità per tutti, qualsiasi sia la loro condizione sociale, di accedere alle massime cariche superando le caste, i vincoli di sangue, il nepotismo, il clientelismo, le corporazioni.

Nella scuola italiana la gestione delle prestazioni del  personale è affidata alla regolazione dei contratti collettivi dove, fatto 100 lo stipendio di un preside, un insegnante deve avere 80 e il resto del personale 60, quindi i vari contratti se apportano aumenti devono rispettare tali proporzioni. In questo modo l’amministrazione statale, il datore di lavoro, pagando nel complesso poco i suoi dipendenti si toglie il pensiero e l’onere di dover valutare le prestazioni oggetto dello scambio contrattuale, avendo fatto della scuola una sorta di soviet collettivo. Dove neppure l’esistenza del titolo di studio è possibile controllare, come dimostra il caso di quella insegnante di Monza che per 20 anni ha insegnato in varie scuole esibendo una laurea falsa.

Gli studenti vengono tutti promossi sulla base del principio “meno venite a scuola meglio è per tutti” e alla fine “mal comune mezzo gaudio”, tutti sono scontenti, gli insegnanti perchè guadagnano poco, gli studenti perchè non trovano lavoro, e l’UE che ci diffida ogni anno di far scendere il nostro tasso di dispersione dal 20 al 10%.

Nonostante le risultanze delle rilevazioni internazionali (per es. l’Ocse-Pisa) molti ripetono che siamo la scuola più bella del mondo, che i test sono quiz inutili e va bene così. Ecco in poche righe la sostanza del discorso scolastico, ma siccome in Italia siamo chiacchieroni, fumosi e poco pratici, ci piace perder tempo con quisquilie raccontando in giro che una valutazione delle prestazioni dei docenti è impossibile, che gli studenti hanno contesti sociali di provenienza molto differenziati, che le scuole del Nord e del Sud sono diverse, così come quelle delle città e dei paesi.

Insomma, per mettere la pezza a colore, per spiegare le ragioni per le quali non facciamo anche noi italiani quello che fanno tutte le altre nazioni progredite dell’occidente,  il nostro “giustificazionismo” ci fa arrampicare sugli specchi, e stiamo appesi nella scomoda posizione da più di mezzo secolo. Con i sindacati più retrivi dell’Europa, specchio di una sinistra che ha fatto dell’arretratezza culturale e del consociativismo i suoi connotati più elevati, non c’è da meravigliarsi che quei pochi giovani che ancora si interessano di politica ripetano a pappagallo quello che gli adulti hanno loro insegnato. Perchè il dato più preoccupante di tutto lo scenario scolastico italiano è questa influenza perniciosa che i discorsi degli adulti politici hanno sui giovani militanti. Uno studente di FdI parla esattamente come la Meloni, uno di sinistra come Fratoianni, uno cattolico come Franceschini. Negli anni sessanta e settanta non era certo così. Il ’68 nasce come rivolta giovanile sulle certezze degli adulti.

Ha scritto il prof. Iuri Maria Prado ” Indugiare sul profilo della destra più rozza d’Europa senza riconoscere quello della sinistra più retriva e politicamente corrotta del mondo occidentale significa rifiutarsi colpevolmente di comprendere le ragioni dell’arretratezza italiana, facendo le viste che il Paese sia civilmente e sistematicamente sottosviluppato per una specie di incomprensibile condanna cui quella sinistra assiste magari inerte, da testimone impensierita, ma non corresponsabile. Non esiste una riforma in senso anche solo modernizzatore, nemmeno liberale, neanche una e in nessun ambito, che abbia registrato il contributo, figurarsi l’iniziativa, della sinistra legittimata al governo ormai da trent’anni. E non esiste un caso di involuzione civile, di arretramento del sistema economico, delle libertà e dei diritti – e tanti ne abbiamo avuti – che non abbia visto la partecipazione della cosiddetta sinistra costituzionale”.

La scuola, la sua condizione ed efficacia, è lo specchio di ogni Paese. Se vuoi conoscere bene la civiltà di una nazione devi esaminare il suo sistema scolastico, prima delle industrie, perciò il nostro, al di là delle chiacchiere e del ’68, e dei decreti delegati, è rimasto tutto sommato quello della Falcucci o di Malfatti. Lo dimostrano le rilevazioni internazionali che soltanto i complottisti autarchici italiani non vogliono mai prendere in considerazione. Non è questione di Ministro (ne abbiamo avuti alcuni mirabili) ma del deep state che di fatto governa il sistema insieme e con i sindacati, ai quali è stata data in franchaising la gestione del personale, al centro e nelle regioni.

Tanti messi dentro senza concorso, ognuno fa quel che vuole, nessuna valutazione, ma in cambio stipendi di fame: la sacca enorme e irriducibile di precari che premono per la stabilizzazione, l’incapacità di svolgere con regolarità i concorsi ripristinando il caposaldo meritocratico della Costituzione (all’impiego pubblico si accede con i concorsi, non con sanatorie successive), sono i lasciti della cultura sindacale imperante.

Come scrisse Karl Krauss (Gli ultimi giorni dell’umanità) “i contemporanei i quali hanno permesso che le cose qui descritte accadessero, pospongano il diritto di ridere al dovere di piangere”.