Svuotiamo il sud o svuotiamo le cattedre? Ha fatto discutere (ma ormai è un’abitudine) la proposta del ministro dell’Istruzione, che ha ventilato una perequazione degli stipendi degli insegnanti al costo della vita della regione in cui esercitano. È solo una boutade, per ora, ma gli indignati pavloviani sono già insorti contro Giuseppe Valditara dicendo che, alzando gli stipendi al nord, si svuota il sud.
La ragione per cui sarebbe giusto che in Lombardia o in Emilia un insegnante debba pagare a fatica l’affitto, mentre quello in Puglia o Calabria possa mettere dei soldi da parte, mi sfugge e la lascio a più raffinati intenditori di sociologia ed economia. Allo stesso modo non mi è chiaro il motivo per cui, da sud, dovrebbero partire vagonate di docenti con la valigia di cartone per andare a nord a guadagnare uno stipendio più elevato da spendere più in fretta a causa del maggior costo della vita.
Le prefiche meridionaliste – probabilmente le stesse che si lamentavano delle deportazioni quando i neoimmessi in ruolo di Campobasso o Avellino ottenevano cattedra e posto fisso a Sanremo o a Padova – preferiscono che gli stipendi restino uguali per tutti e che quindi, nelle regioni più ricche e costose, chi è bravo abbastanza per fare altri mestieri diserti l’insegnamento per mansioni più lucrative: dice nulla la difficoltà nel trovare prof di matematica da insediare sopra la Linea gotica?
Soprattutto, se nord e sud sono pari e interscambiabili, resta il mistero di come mai le regioni meridionali, baciate da un clima più favorevole e da un minor costo della vita, non siano prese d’assalto da frotte di docenti settentrionali, attratti dalla prospettiva di fare con la paga attuale una vita da nababbo. Sarà colpa del nord anche questo?