«Se ci sono persone che non riescono a usare gli strumenti digitali devono poter accedere ai servizi con metodi classici, analogici. E la responsabilità è dello Stato: non interviene al posto del mercato, ma deve farlo quando il mercato non raggiunge il 100% della popolazione».
Non te lo aspetti da Diego Piacentini, ex vice presidente di Amazon e Apple e già commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale italiana, ma quando parla di semplificazione della vita delle cittadine e dei cittadini lo fa stressando questo punto, più volte.
Risponde dalla sua casa di Bellevue, vicino a Seattle, dove, racconta, gli capita persino di impressionare gli americani con la qualità e l’usabilità dei nostri servizi.
E anche questo forse non te lo aspetti.
«L’altro giorno ho ricevuto una notifica dell’app IO sul mio telefonino che mi ricordava che la tassa di circolazione della mia Panda sarebbe scaduta a fine gennaio. Sono entrato e ho pagato con un clic. L’ho fatto vedere ai miei amici qui e non ci credevano, perché negli Stati Uniti questa cosa non accade».
Non è ipotizzabile un paragone su larga scala: «La complessità e le dimensioni qui portano a digitalizzare un pezzo alla volta, quindi trovi cose splendide e altre ancora all’età della pietra. Per esempio: il Department of Veterans Affairs, che fornisce servizi alle centinaia di milioni di persone che tornano dal militare, è diventato uno dei più sofisticati al mondo, in seguito all’intervento di Obama nel 2015. Per rinnovare il passaporto invece sono stato costretto a pagare in contanti».
I dati confermano quanto di buono è germogliato nel nostro Paese: l’anno scorso l’app IO, pensata proprio da Piacentini, è stata scaricata 32 milioni di volte e ha visto salire a bordo 5.392 nuovi enti. L’identità digitale Spid è stata attivata da un totale di 33,5 milioni, e il numero di autenticazioni ha superato un miliardo. Però: a fronte del miliardo appena citato, rispetto ai 21 milioni di autenticazioni tramite la carta di identità elettronica, nei piani del governo il futuro sembra essere solo della Cie, con Spid che dovrebbe confluire al suo interno. E da gennaio non si possono più richiedere i certificati anagrafici online e/o a tabaccherie ed edicole: una semplificazione che era stata introdotta nel 2021 e permetteva di evitare le file agli sportelli dei Comuni. E ancora, il dibattito su obbligo di Pos e innalzamento del tetto del contante non guarda certo in direzione dei pagamenti elettronici.
Stiamo assistendo a un’involuzione?
«Non siamo in una fase della trasformazione digitale in cui puoi lasciare che le cose succedano senza governarle, serve un approccio con una visione centrale dove qualcuno di molto importante si faccia carico di portare avanti il programma e di seguirne l’esecuzione. Non mi sembra che ci siano i segnali di questa visione: non c’è più il ministro dell’Innovazione e non mi pare che il tema sia nell’agenda dei ministeri principali».
Che fare?
«Si deve partire dal concetto di continuità. Quando siamo arrivati a Palazzo Chigi nel 2016 la prima cosa che abbiamo fatto è vedere cosa c’era di esistente, cosa funzionava e cosa non funzionava per migliorarlo. L’obiettivo non era uccidere ciò che non andava, ma portarlo avanti cercando di migliorare contenuti, processi ed esecuzione. Bisogna inoltre ricordare che la semplificazione dei processi ha un tempo di realizzazione ben superiore alla vita di un governo, anche se dura l’intero mandato. E io non penso che i governi di sinistra e di destra siano in disaccordo sul proposito di semplificare la vita dei cittadini. Quando capita è perché la politica è piena di set back, non fai mai un continuo miglioramento, è sempre un passo avanti e due indietro».
Che fine farà l’identità digitale?
«Al momento ha senso tenere sia Spid sia Cie, migliorandole entrambe e puntando sulla seconda. Nel primo caso è necessario superare lo scoglio dei troppi provider che la erogano, certamente. Attenzione però: stiamo parlando solo delle chiavi. L’importante è quello che c’è dietro la porta: quali e quanti servizi sono accessibili, e dovranno essere sempre di più. Bisogna smettere di pensare di sostituire uno strumento con l’altro, possono e devono agire in parallelo. E smettiamola di nasconderci dietro alle presunte difficoltà degli anziani: come dicevo, lo Stato ha il dovere di fornire alternative al digitale, non dismettere quello che c’è. L’Europa, con il progetto dell’identità digitale unica, dovrà poi mettere a disposizione linee guida che permettano di creare interoperabilità fra i vari sistemi e vengano aggiornate continuamente, facendo attenzione a non dare adito a commenti e posizioni anti digitali».
Il digitale dovrebbe semplificare anche quando si tratta di fare modifiche in corsa: due mamme di Roma, invece, non hanno potuto inserire la dicitura genitore sulla carta di identità elettronica, al posto di padre e madre o chi ne fa le veci, nonostante un’ordinanza del tribunale lo imponesse.
«Nel 2017 una delle nostre battaglie era convincere il governo a non aver bisogno di un decreto ogni volta che si presentava il bisogno di intervenire su un software. E ci deve essere sempre quella dose di problem solving dell’umano: nell’analogico c’è la flessibilità che permette di risolvere i casi non previsti».
Con View Different investe in startup: cosa si sta muovendo di interessante? «Quello che mi sta appassionando di più in questo periodo, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, è l’innovazione nelle applicazioni di diagnostica, cura e prevenzione, che hanno trovato nell’Intelligenza artificiale un terreno molto fertile: capisci perfettamente perché e come i nostri nipoti vivranno fino a 125 anni. E dal punto di vista della gestione del cambiamento climatico sto vedendo molte cose interessanti sulla cattura della Co2, dove però il grosso problema sarà la larga scala».
È vero, come dicono alcuni osservatori, che BigTech invece ha smesso di innovare?
«Queste aziende hanno raggiunto dimensioni tali che portano a maggiore complessità che genera delle regole che vengono democraticamente gestite e come conseguenza hanno anche il rallentamento dell’innovazione. Ma la leadership è competente e permette ancora di creare tutti quei meccanismi che consentono di innovare. Trovo il dinamismo dell’economia americana e delle startup di una potenza formidabile, ed è uno dei motivi per cui resto a Seattle».