Rampini/ I calcoli di Xi Jinping sulla guerra in Ucraina, e il prezzo che potrebbe pagare

L’allarme americano è grave: la Cina sta per varcare una fatidica «linea rossa», la fornitura di armi a Vladimir Putin. Se lo farà, l’aggressione russa all’Ucraina potrà durare molto di più e moltiplicare le vittime.

L’annuncio del segretario di Stato Antony Blinken è un tentativo di «deterrenza attraverso la trasparenza». Un anno fa gli americani ci provarono: rivelarono al mondo che Mosca stava per invadere l’Ucraina. La Casa Bianca sperò, smascherando i piani segreti di Putin, di fermarlo. Ora ci riprova con Xi Jinping: noi sappiamo quello che stai per fare, tu sappi che pagherai un prezzo elevato. Il rischio è che il secondo tentativo fallisca come il primo.

Xi forse pensa di poter innalzare il livello di aiuto a Putin senza subirne danni gravi. La risposta della diplomazia cinese a Blinken è stata: «L’America non può permettersi di fare pressioni su di noi». L’incidente del pallone-spia, per il modo in cui è stato gestito da Pechino, è istruttivo: poteva essere un banale infortunio risolto con delle «finte scuse» e salvando la faccia a tutti; è stato ingigantito da un mix di menzogne, risentimento, orgoglio nazionalista.

Illudersi che Xi farà da paciere significa ignorare ciò che dice da quando la guerra è scoppiata: che è tutta colpa nostra. Il leader cinese abbraccia la versione di Putin sulla Russia «accerchiata, assediata, resa insicura» da un Occidente aggressivo. La volontà del popolo ucraino viene ignorata in questa narrazione; questo è coerente con il fatto che il popolo cinese non ha il potere di scegliere come o da chi viene governato. Al tempo stesso la retorica cinese denuncia la logica dei blocchi e attribuisce a noi una mentalità da guerra fredda.

Xi è deciso a rovesciare un ordine globale americano-centrico per sostituirlo con un ordine alternativo. Qui s’inserisce l’Ucraina. Nonostante le delusioni che Xi ha ricavato da quell’aggressione, che non è andata come Putin aveva promesso, tuttavia la vede come una spallata all’Occidente. Cina e Russia sono in sintonia su questo terreno strategico, come superpotenze revisioniste, perché vogliono rivedere (ribaltare) l’ordine mondiale. La loro capacità d’influenzare altre nazioni in Asia, Africa, America Latina, fa pensare a Xi che la guerra in Ucraina possa configurarsi come uno scontro tra il G-7 (un club di Paesi ricchi) contro un «G-77» che unisce la maggioranza dell’umanità.

Il fatto che la guerra sia andata diversamente dai piani di Putin è uno smacco per Xi ma anche un’opportunità. È un’occasione di apprendimento. In vista di un attacco a Taiwan, sia pure con le enormi differenze tra i due teatri, studiarsi una guerra reale è meglio che limitarsi ai wargame virtuali.

Secondo una battuta che circola al Pentagono, «alla vigilia dell’invasione Xi Jinping credeva che Putin avesse il secondo esercito più forte del mondo; il giorno dopo l’invasione ha capito che quello russo è il secondo esercito più forte in Ucraina; un anno dopo sa che è il terzo in Ucraina dietro la Divisione Wagner». Ma non è una ragione per negare aiuto all’amico in difficoltà. Mollare Putin sarebbe un colpo alla credibilità di Xi.

Che prezzo pagherà se dovesse fornire apertamente le sue armi? Uno dei punti deboli della Cina è, in teoria, la sua profonda integrazione con i mercati occidentali. Con le sue azioni (a cominciare dal Covid) Xi ha generato diffidenza in Occidente, l’immagine della Cina è peggiorata drasticamente negli ultimi anni. Ma prezzi concreti non ne sta pagando, o non ancora. Il 2022 si è chiuso con un nuovo record storico nell’attivo commerciale cinese verso gli Stati Uniti. Finora la Cina si è tenuta in equilibrio fra due logiche e due mondi, continuando a lucrare tutti i vantaggi da una globalizzazione in cui l’America la cooptò trent’anni fa. Forse pensa di poterlo continuare a fare pur superando la «linea rossa» delle armi. È un gioco pericoloso, questo, in cui ciascuno sta sondando la determinazione dell’avversario.