Maurizio Costanzo tutti lo conoscevano bene?

Ho letto una dichiarazione di Pippo Baudo: la tv di Costanzo era apolitica. Davvero? A me è rimasta in testa una trasmissione che nessuno rivedrà mai, un “Uno contro tutti” che Costanzo officiò quando, forse era il 1988, Veltroni lanciò la campagna contro gli spot che interrompevano i film.
Berlusconi non era ancora sceso in politica ma già studiava le mobilitazioni per manipolare l’opinione pubblica.
In platea, precettati, tutti i divi, da Sandro e Raimondo a Bonolis e Sgarbi, poi tutti i nani e ballerine di Canale 5. Tutti in modo indegno a spernacchiare e sbeffeggiare il malcapitato sottosegretario Vincenzo Vita, intellettuale mite ed esperto.
Su Costanzo, oltre alle solite immagini con Falcone e il santone Santoro, oppure mentre faceva finta di suonare il sassofono, sarebbe utile ri-vedere le occasioni in cui ha usato la tv per finalità diciamo “private”. Per esempio non gli riuscì la campagna a favore della Franzoni nel caso Cogne, solo perchè lui non era, come stanno raccontando, un re Mida. Lo stesso Fiorello il successo vero lo ebbe lontano da lui.

Il guaio e il merito di Costanzo è stato che sapeva fare una cosa sola, le domande. Quando ha scritto spettacoli, per esempio “Non dimenticate lo spazzolino da denti” per Fiorello, il successo non lo ha avuto. Certo, ha scoperto Fiorello, ma questi per avere successo vero si è dovuto affidare a un team di autori: il supervisore teatrale e coach Giampiero Solari; e poi Francesco Bozzi, Riccardo Cassini, Alberto Di Risio, Claudio Fasulo, Pierluigi Montebelli, Federico Taddia.

Costanzo ha avuto una capacità enorme di contrarre relazioni. Non solo matrimoniali, ma amicali, tanto che ad un certo punto si era perso finanche con Licio Gelli e la P2. Una lista con finalità eversive nei confronti dell’ordinamento democratico venne rinvenuta nel 1981 e conteneva 982 membri, di cui 44 parlamentari, 2 ministri, magistrati, dirigenti dei servizi segreti, imprenditori e giornalisti, tra i quali, appunto, lo stesso Maurizio Costanzo. Stava dirigendo “L’occhio”(1979), un tentativo di giornale popolare, ma uno che sapeva fare solo domande fallì e l’esperimento finì. Era finito a terra ma gli venne in soccorso (perchè?) Giampaolo Pansa di Repubblica che con una intervista gli lanciò una ciambella di salvataggio. Costanzo ha anche raccontato della sua iscrizione alla P2, negando di averlo fatto con prospettive di carriera, perchè «in quel momento io avevo una rubrica televisiva di grande successo, una rubrica fissa su un settimanale come L’Europeo, avevo da poco diretto un film, certo non ero di carriera».
Si giustificò così: «vivevo un mio momento psicologico privato molto difficile. Privato, di separazioni, cose del genere e siccome non avevo motivo di ritenere che non fosse Massoneria la Loggia P2, il fatto della solidarietà, psicologicamente in un momento in cui ero attraversato da un grande successo, che può essere un po’ destabilizzante, non mi dispiaceva. Capisco che può sembrare banale ma io poi queste grandi occasioni professionali non le ho avute, anzi, il contrario».

Viene ricordato in queste ore come cosceneggiatore del film di Scola “Una giornata particolare” e per la canzone “Se telefonando”. Puntualmente si impacchetta il tutto concludendo che è stato poliedrico. Invece è molto più semplice. Costanzo è stato un grande stakanovista che è riuscito, questo appare il suo merito maggiore, sin da giovane a lavorare in radio e televisione con ritmi pazzeschi. Un semplice ascoltatore come me si è imbattuto nel suo nome nel 1970 perchè conduceva con Dina Luce (che in radio allora era una star) il programma radiofonico “Buon pomeriggio” (“Bontà loro” è del 1976). La cosa che mi colpì di lui fu appunto la sua attività frenetica, ci fu un anno in cui arrivò a fare (con vari ruoli) ben sei trasmissioni contemporanee tra radio e tv, compresa una soap opera in cui recitava. In Rai è risaputo non si accede per meriti e finanche Mike Bongiorno pur con il successo che aveva doveva spesso saltare un turno e stare fermo ai box. Costanzo con le sue mille relazioni in Rai aveva messo le tende.

Il momento preciso in cui l’ho capito definitivamente fu quando diede un (solo) consiglio a Totti, il quale era preso in giro dai tifosi per le stupidaggini che diceva e faceva. Le barzellette di Totti rappresentano ancora oggi la (sua) capacità di trasformare un problema in una opportunità. Il suo consiglio (“Non te la prendere”) a Totti cambiò la vita, non solo si è trasformato, da uno sfigato offeso, in uno simpatico, ma ha monetizzato i libri scritti a suo nome prima di diventare un ricercato testimonial. Il consiglio glielo ha dato Costanzo il quale ha sempre saputo risalire in superficie dopo essere affondato ed anche la vecchiaia se l’è assicurata sostituendo il suo nome nella ditta ( si chiama “Fascino” ) con quello della moglie Maria. E’ stata la moglie con gli ascolti delle sue trasmissioni ad imporre a Pier Silvio i contratti per la ripresa del MCShow che era stato accantonato, tanto da costringerlo a riparare in Rai nelle ore notturne dei Marzullo in compagnia del vecchio amico Vaime.

Aveva cominciato come giornalista nel 1956 a Paese Sera e poi al Corriere Mercantile di Genova. Nel 1963 cominciò a fare l’ autore radiofonico e nel 1966 fu coautore, con Ghigo De Chiara, del testo della canzone Se telefonando. Loro scrivevano i testi per uno spettacolo televisivo con Mina, il musicista Morricone preparava il repertorio delle canzoni e quindi i due, come è uso in tv, dovettero mettere le parole ad una musica del maestro. Un colpo di c… Aveva avuto molto successo Giorgio Calabrese con “E se domani” e loro usarono un’altra volta il “se” come incipit. Nel 1967 scoprì Paolo Villaggio e creò con lui il personaggio Fracchia, nel 1982 cominciò il Maurizio Costanzo Show.

Il suo apporto al film di Scola invece si racconta che fu quello, insieme con Ruggero Maccari, di convincerlo a fare un film storico e di ambientare la vicenda delineata nel soggetto in epoca fascista: secondo loro, Antonietta e Gabriele si sarebbero dovuti incontrare e conoscere, come poi di fatto avvenne, in sede di sceneggiatura, e poi in fase realizzativa, il 6 maggio del 1938, durante una visita di Hitler a Roma. Scola inizialmente pensava invece ad un incontro in una Roma deserta durante una domenica di derby: i due reietti li faceva conoscere in una città svuotata da un evento aggregativo e omologante particolarmente sentito dalla massa, un evento da cui però i due sono esclusi.

In Caterina va in città (film del 2003) Paolo Virzì racconta con arguzia la nascita del populismo, quando la platea del Costanzo show comincia a volere più spazio e cominciano le filippiche anti casta.
Dal pubblico in sala, una persona inizia a rumoreggiare: è Giancarlo Iacovoni (Sergio Castellitto). Costanzo (in questo caso, quindi, attore) gli fa passare un microfono e la telecamera lo inquadra in p.p., mentre ringrazia il giornalista. Giancarlo inizia a raccontare del suo libro e del fatto che nessun editore l’ha preso in considerazione. Quando Costanzo, in imbarazzo, non sa dare una risposta alla domanda dell’uomo e, cioè, se gli editori cestinino le opere degli sconosciuti, si altera: «Qui entriamo nel merito però, se mi permette, perché non vorrei neanche però che anche lei, Dott. Costanzo, si prestasse pure lei a questo gioco». Un’assistente di produzione tenta di togliere il microfono a Giancarlo, ma su richiesta dello stesso conduttore glielo lascia. Il Signor Iacovoni si alza in piedi e inizia a strillare: «Non vorrei che in qualche misura, no, in qualche misura, in questo paese, ci fosse spazio soltanto a chi appartiene a certe conventicole… ». Giancarlo conclude il suo animato intervento girandosi verso il pubblico e chiamandoli “pecoroni” e, dopo i fischi ricevuti, decide di portare via i ragazzi dalla trasmissione.

Costanzo con il suo Show ha fatto diventare popolari molti sconosciuti, adesso la moglie Maria (tutti la chiamano per nome come si fa con un santone) fornisce chances a tutti. Sono i miracoli che fa la tv, qualche lavoro (dalla Cipollari a Zerbi ai tronisti ai maestri), qualche riconciliazione, qualche regalo, qualche audizione, qualche anima gemella. E’ la donna più potente della tv italiana, una macchina da guerra che ben presto lo ha fatto retrocedere al rango di marito.

Addio a Maurizio Costanzo, lo stregone del talk (di Andrea Minuz)

Si dice che i cinepanettoni abbiano raccontato con precisione chirurgica le trasformazioni dell’Italia degli anni Ottanta. Maurizio Costanzo ha fatto di meglio. Quell’Italia l’ha plasmata, l’ha creata, se l’è inventata sera dopo sera nel salottino del “Teatro Parioli in Roma”, come diceva la voce dello speaker, con gran solennità, prima d’ogni puntata.

Sin lì conosciuto solo agli abitanti di zona, e forse neanche a loro, il Parioli diventava ogni sera “La Scala” della tv italiana. La ribalta del paese. La “quarta Camera”, diceva scherzando Costanzo, dopo la terza di “Porta a porta”. Ma era molto di più. Il “Maurizio Costanzo Show” non è stato solo il nostro “late night” americano, prima che internet ci portasse in casa gli show della Nbc e della Cbs, ma un Grande Romanzo Italiano. Quello che letteratura, cinema, teatro avevano smesso di darci da un pezzo. Difficile non riconoscere, per esempio, che l’“Uno contro tutti” di Carmelo Bene resta agli atti come vetta dell’arte contemporanea, installazione vivente, happening.

Il miglior trattato mai scritto sulla “società dello spettacolo”. Invece di leggerti Debord, dico sempre, guardati Carmelo Bene da Costanzo. Un libro sull’Italia di quegli anni, invece, dovrebbe intitolarsi, “La sera guardavamo il Maurizio Costanzo Show”. Aspettavamo le undici o anche mezzanotte per una seconda serata che era meglio della prima (Costanzo, tra i primi, intuisce le straordinarie possibilità della dilatazione del palinsesto). Il “Costanzo Show” era un appuntamento fisso. Il segno che Canale 5 era avanti anni luce su una Rai che, Arbore a parte, era ancora ingessata, pesante, incapace di stare al passo con un paese che in quel momento andava a mille. Costanzo invece aveva la flemma giusta. Lasciava fare con una lentezza deliberata che poi passerà a Maria De Filippi, accovacciata sugli scalini di “Uomini e donne”.

Non erano vere interviste le sue, ma sedute di autocoscienza collettiva. Si lanciava un tema, quel tema diventava qualcos’altro, si andava fuori tema, si litigava, si incassavano buuuh, fischi o applausi. Come oggi su Twitter. Ma dal vivo, a teatro, mentre Costanzo si lisciava i baffi. Nel “Costanzo Show” c’era tutto: il trash e l’impegno civile, i premi Nobel e la cattiva letteratura, le sciampiste, l’antimafia, l’avanguardia teatrale, la tv del dolore, Sgarbi e D’Agostino, Falcone e Platinette, Sora Lella e la Franzoni, che, mi pare di ricordare, non spiccicò parola o quasi. Piangeva e basta. Il “Costanzo Show” è stato poi anche un formidabile incubatore del populismo. La platea che si prendeva sempre più spazio. Il teatro che sconfinava in assemblea d’istituto, le domande sempre più inferocite, la ribellione del Parioli. Se ne ricorda Paolo Virzì quando in “Caterina va in città” manda il prototipo del grillino che verrà, Giancarlo Iacovoni, a inseguire il suo quarto d’ora di celebrità anticasta proprio al “Costanzo Show”.

Con “Bontà loro”, Maurizio Costanzo fu il primo a inventarsi il talk-show all’italiana, così come lo conosciamo oggi. Il primo a mettere insieme un presidente del Consiglio, un press agent e una balia nello stesso salottino televisivo (il presidente era Giulio Andreotti, la balia asciutta Giovanna Mizzoni, il press agent Enrico Lucherini). Ma è col “Maurizio Costanzo Show” che trova il punto di fusione perfetto. L’equazione tra tv e antropologia italiana. È Maurizio Costanzo che finisce per assomigliare al suo programma, non viceversa. Il “Costanzo Show” come un’opera mondo. Un’epica postmoderna, proprio come lui. Capace di passare con identico aplomb dalla prima stesura dello script del “Salò” di Pasolini, alle chiappe sculettanti di “Buona domenica”. Uno stregone inarrivabile.