Il liberalismo non è più un ismo ma un aggettivo

Il gentiluomo di un tempo – e talvolta anche la gentildonna – non era soltanto il detentore di un certo rango nella gerarchia sociale, ma anche e soprattutto una persona di modi gentili e mente curiosa. Credo che oggi i liberali come noi siano meglio descritti in termini morali anziché in termini politici o culturali: noi siamo, o aspiriamo a essere, di mentalità aperta, generosi e tolleranti. Siamo in grado di convivere con l’ambiguità, siamo pronti ad affrontare dispute che non sentiamo di dover vincere. Qualunque sia la nostra ideologia, qualunque sia la nostra religione, noi non siamo dogmatici, non siamo fanatici. O, come disse l’attrice Lauren Bacall a un intervistatore, un liberale è qualcuno che “non ha una mente piccola”.

La sensibilità liberale che si accompagna alla morale è quasi certamente meglio rappresentata in letteratura che in politica. O, quantomeno, ho imparato a percepire questa sensibilità e a valorizzarla leggendo poeti come la polacca Wisława Szymborska, l’israeliano Yehuda Amichai e tre americani: Philip Levine di Detroit, Philip Schultz di New York e C.K. Williams di Princeton. Ce ne sono anche altri, ma sono loro cinque in particolare ad avermi insegnato qualcosa sulla generosità, sulla compassione, sull’umorismo e sull’ironia gentile che si accompagnano all’aggettivo “liberale” ma che non escludono la rabbia e un feroce realismo.

La morale liberale viene talvolta sintetizzata dal detto “Vivi e lascia vivere”, che però non è del tutto corretto, perché noi non siamo relativisti. Riconosciamo i limiti morali; soprattutto, ci opponiamo a ogni sorta di intolleranza e di crudeltà. La mia maestra e amica Judith Shklar, in un libro delizioso sui sette peccati capitali, sostiene che dovremmo sempre “mettere la crudeltà al primo posto” tra i peccati che cerchiamo di non commettere (Vizi comuni, 1984). È una buona introduzione alla morale liberale. Credo che Democratici e Repubblicani, democratici e repubblicani con la minuscola, libertari e socialisti possano e debbano essere liberali di questo tipo.

Per tutti questi gruppi, considerati al loro meglio, la morale liberale viene con il territorio. Ma né il liberalismo vecchio stile, né il neoliberalismo, né il socialismo democratico, né alcuna ideologia onnicomprensiva sono imposti dalla morale liberale o dalla sensibilità liberale: conosciamo tutti democratici e repubblicani, libertari e socialisti che sono dogmatici e intolleranti.

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Il nostro legame con il liberalismo si manifesta in modo molto differente da quanto suggerito dal sostantivo e dall’ismo. Io lo interpreto come una connessione aggettivale: noi siamo, o dovremmo essere, democratici liberali e socialisti liberali. Io sono anche un nazionalista e un internazionalista liberale, un comunitario liberale, un femminista liberale, un professore e talvolta un intellettuale liberale, un ebreo liberale.

L’aggettivo funziona più o meno allo stesso modo in tutti questi casi, e il mio obiettivo è descrivere la sua forza in ognuno di essi. Come tutti gli aggettivi, “liberale” modifica e complica il sostantivo collegato, con un effetto talora vincolante, talora ravvivante, talora trasformativo. Definisce non le persone che siamo, ma in che modo siamo le persone che siamo, ovvero come mettiamo in atto i nostri impegni ideologici. Nel suo significato originario, il liberalismo era un’ideologia occidentale, il prodotto dell’Illuminismo e il trionfo (in letteratura e in filosofia, se non nella vita quotidiana) dell’individuo emancipato – una figura dell’Occidente.

Ma gli aggettivi “liberale” e “illiberale” possono utilmente descrivere i membri di altre culture che utilizzano sostantivi diversi per dare un nome ai propri impegni e che qualificano tali sostantivi in un idioma differente. Presumo che la morale liberale e la sensibilità liberale siano universali. Devono esserlo, giacché oggi sono visibilmente sotto attacco in tutto il mondo – anche qui negli Stati Uniti. Esaminerò, capitolo per capitolo, i sostantivi che definiscono i miei impegni, e in un capitolo la mia vocazione, e poi cercherò di descrivere esattamente come l’aggettivo “liberale” qualifichi l’impegno.

La mia argomentazione, molto semplicemente, è che l’aggettivo non può stare in piedi da solo come comunemente viene fatto credere (aggiungendo l’“ismo”); ha bisogno dei suoi sostantivi. Ma i sostantivi, gli impegni sostantivati, non saranno mai ciò che dovrebbero essere senza l’aggettivo “liberale”. Senza l’aggettivo, i democratici, i socialisti, i nazionalisti e tutti gli altri possono essere, e spesso lo sono, monisti, dogmatici, intolleranti e repressivi. L’aggettivo, come cercherò di dimostrare, impedisce l’uso della forza e favorisce il pluralismo, lo scetticismo e l’ironia.