Anche quest’anno abbiamo smaltito la sbornia della religione civile del 25 aprile e della sua sublimazione liturgica del concertone. Sono convinto che la gran parte degli italiani non ne possa più di questo modo di interpretare ricorrenze che, nello spirito originario, richiederebbero altre modalità e altro spirito. Giornate che dovrebbero essere di festa, sono state trasformate in giornate di lotta. Ricorrenze che dovrebbero essere per, sono state trasformate in ricorrenze contro. Rabbia e rancore hanno preso il sopravvento su gioia e solennità. Com’è stato possibile tutto ciò? Per rispondere a questa domanda, bisogna andare indietro nel tempo, fino alla nascita della Repubblica. L’Italia rappresentava allora un unicum mondiale, l’unico paese spaccato in due, a livello politico e civile, tra sostenitori del blocco americano e sostenitori del blocco sovietico.
Palmiro Togliatti, arguto segretario del Partito Comunista italiano di allora, scelse di rinunciare alla rivoluzione armata che la dottrina comunista richiedeva, invitò i partigiani a riconsegnare le armi, poi, da ministro della Giustizia, promosse l’amnistia per i fascisti incarcerati. Fu capace di convincere il suo capo, Stalin, intorno alla bontà di questa scelta e ottenne il suo placet. Alcide De Gasperi, in nome della ritrovata pace nazionale, convinse gli americani che, in Italia, il confronto politico coi comunisti si sarebbe potuto svolgere sul piano democratico. Così, il mondo cattolico e il mondo comunista si ritrovarono allo stesso tavolo, al fine di dare vita, insieme, alla genesi della Repubblica, a partire dalla sua Costituzione, e alla generazione del nuovo Stato democratico.
Tutto ciò, attraverso sintesi di pensiero talora nobili, diversi compromessi, tante concessioni reciproche. Al PCI furono ad esempio concessi diversi articoli della Costituzione, a partire dal primo, un riferimento piuttosto sfumato alla sacralità della proprietà privata e la licenza di considerare alla stregua di reietti i connazionali istriani che scelsero di abbandonare tutto ciò che possedevano pur di rimanere italiani e non finire sotto il giogo del comunismo slavo. La DC tenne per sé il governo delle partecipazioni statali e lasciò al PCI il dominio nel mondo delle cooperative, tenne per sé la celebrazione del 2 giugno e lasciò al PCI quella del 25 aprile, accettando l’egemonia comunista nell’Associazione nazionale partigiani italiani e, in generale, in tutto ciò che si riferiva alla Resistenza.
Nacquero così una Repubblica, una Costituzione e uno Stato catto-comunisti, nel senso squisitamente storico-politico del termine. Questa genesi è tuttora ampiamente riscontrabile nella società italiana, una società in cui il cittadino-lavoratore ha ineluttabilmente la meglio sul cittadino-cliente. Fu una scelta giusta? Sì, fu scelta saggia che consentì all’Italia di risparmiarsi anni di guerra civile e, prevalendo la DC, favorì una provvida collocazione internazionale e uno straordinario sviluppo economico.
E oggi? Questa “prima Repubblica” non è forse arrivata al capolinea? Non si sono forse esaurite le ragioni geopolitiche delle “convergenze parallele” e della coabitazione catto-comunista?
Sono convinto che siano ormai mature le condizioni per dare vita, questa volta per davvero, a quella seconda Repubblica annunciata da tangentopoli, ma che davvero seconda Repubblica non fu: fu semmai una riedizione in salsa giustizialista della prima. Sì, oggi sono mature le condizioni per quella rivoluzione liberale che Berlusconi promise e mai realizzò.
Chi può ispirare oggi questo processo? Chi può assumerne la leadership? Di certo, non gli eredi dei costruttori della prima Repubblica, i post-democristiani e i post-comunisti che popolano il PD e gran parte dell’area del terzo polo. E allora chi? Forse la destra? In realtà destra e sinistra si assomigliano più di quanto non possa sembrare e, in fondo, appartengono allo stesso fronte bi-populista, come ampiamente dimostrato dal sempre più evidente fenomeno del rossobrunismo. In effetti le diverse forme in cui si esprimono i populismi, affondano le loro radici tanto nella cultura politica della sinistra, quanto nella cultura politica della destra” la proposta politica populista è trasversale rispetto ai campi del vecchio paradigma.
Se prendiamo atto di questo dato di fatto, allora dobbiamo dedurne che anche una proposta politica alternativa ai populismi non possa che essere trasversale rispetto ai vecchi paradigmi e quindi rispetto allo schema destra-sinistra. I tentativi, rivelatisi a dir poco goffi, di dare vita a un terzo polo, nascono da una scarsa coscienza di ciò e soffrono di un conseguente posizionamento vecchio e inadeguato. Occorre invece convogliare su una proposta politica innovatrice tutte le energie non populiste presenti trasversalmente nei diversi schieramenti.
Renzi e Calenda non si sono dimostrati all’altezza di questo compito: non sono riusciti ad andare oltre le vecchie credenze, le vecchie appartenenze, i vecchi paradigmi, così si continua a festeggiare ogni trombato dal Partito democratico che approda a ciò che resta del terzo polo, alimentando la miope illusione che l’alternativa consista in fin dei conti in una riedizione della sinistra riformista, rinominata liberale.
E allora chi? Chi può scegliere la bandiera di una seconda repubblica liberale? Nel gennaio scorso i tanti gruppi liberali si sono riuniti in un’unica associazione, i Liberali Democratici Europei, movimento ispirato da Giuseppe Benedetto, Oscar Giannino, Alessandro De Nicola e Sandro Gozi. Prima che il terzo polo andasse in malora, Carlo Calenda li indicò come terza gamba del nascente partito. Ora che quel progetto ha mostrato la sua fragilità strategica, hanno l’opportunità di promuovere una nuova iniziativa, hanno l’opportunità di porsi come prima gamba del nuovo polo, un polo trasversale, oltre lo schema destra/sinistra, alternativo al bipolarismo populista, volto a superare la prima Repubblica catto-comunista, verso una nuova Repubblica fondata sui valori di un liberalismo 4.0 di stampo umanistico, attraverso alleanze inedite e trasversali.
Certo, ci vogliono coraggio, sfacciataggine e apertura mentale, ma l’alternativa non è proprio granché giacché consiste nel rassegnarsi alle diatribe e alle scaramucce fra ex. Chissà, forse i semi stanno in qualche modo prendendo vita sotto il terreno e prima o poi qualcosa ne germoglierà.