(da Edscuola: Autonomia scolastica, autonomia differenziata, Pnrr di Stefano Stefanel, dirigente scolastico, Udine)
Il primo anno scolastico “regolare” dopo la pandemia finisce in un turbine di scadenze, adempimenti, progetti, che determinano, nei dirigenti scolastici e nelle scuole, una sovrapposizione tra pareri personali e azioni istituzionali.
Proviamo dare una forma sintetica ed ordinata all’obiettivo disordine che circonda le scuole:
PNRR Classroom e Labs, cioè gli acquisti per la transizione digitale nelle scuole: entro il 30 giugno (ma tutti sperano, auspicano, brigano per uno slittamento del termine di almeno tre mesi) bisogna chiudere la procedura negoziale per finanziamenti cospicui che si contano a centinaia e non a decine di migliaia di euro.
PNRR “divari territoriali” (D.M. 170/2022), cioè le azioni per contrastare la dispersione scolastica nelle scuole individuate dal Ministero appoggiandosi soprattutto ai risultati nell’Invalsi da strutturare e organizzare secondo target definiti, ma con sfumature interpretative non da poco e che devono essere organizzati per partire quanto prima.
PNRR Poli Formativi per la transizione digitale che devono raggiungere un target specifico di soggetti formati (docenti e ata) per attività formative connesse alla transizione digitale, comunque non obbligatorie.
Piano Nazionale Scuola Digitale – STEAM che dovrebbe concludere al 30 giugno le sue attività formative sempre di carattere non obbligatorio (con una patologia evidente che permette ai docenti di iscriversi anche a 20 corsi contemporaneamente e poi a non frequentarne nessuno, abbassando il target minimo e rendendo inattuabile il corso).
DOCENTI TUTOR da individuare entro il 31 maggio e poi da avviare ad una formazione estiva per poi iniziare le attività di tutoraggio a settembre.
PIANO NAZIONALE DI FORMAZIONE 2023 finanziato ai primi di aprile che deve concludersi entro il 31 agosto con ingenti somme non spendibili viste le tempistiche (anche qui è necessaria, logica, indispensabile una proroga a fine novembre).
Attività formative finanziate anche qui con oltre centomila euro di media per scuola con i DM 65/2023 – “Nuove competenze e nuovi linguaggi” e DM 66/2023 – “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico“.
Liceo del Made in Italy, avviato con una certa fretta operativa che va a scontrarsi con un’offerta formativa che dovrebbe essere ponderata soprattutto in rapporto ai numeri molto decrescenti degli studenti.
Forse ho dimenticato qualcosa, ma credo che il quadro delineato sia molto chiaro. Ognuno di noi ha la sua idea in merito ed è giusto che l’abbia, sia favorevole a tutto questo, sia contraria a tutto o a una sua parte. Personalmente ritengo che le tempistiche siano mal modulate, le finalità non sempre chiare e l’impianto piuttosto debole nella sua strutturazione didattica e contorto in quella economica e gestionale. Questa, in sintesi la mia opinione.
Mi pare, però, che esista e stia dilagando una certa confusione sul rapporto tra i propri pensieri (miei inclusi) e la gestione di un sistema scolastico nazionale. Proviamo, anche qui, ad andare per punti:
le scuole sono “autonomie funzionali dello stato” e non hanno nessuna comunanza con le autonomie locali dello stato: la debole comprensione di questo passaggio fa ritenere a troppi (dirigenti, dsga, docenti) che lo stato debba negoziare con le autonomie funzionali i suoi obiettivi di sistema, mentre, più semplicemente, le autonomie funzionali sono deputate a sviluppare, nella realtà locale in cui operano, gli obiettivi del sistema.
il PNRR è una forma di finanziamento europeo straordinaria che agisce sulle due grandi transizioni (digitale ed ecologica) individuate come strategiche: per i cospicui soldi dati all’Italia dall’Europa devono andare lì non altrove (quindi non nell’ordinario, negli stipendi del personale, nell’aumento di dotazioni organiche, nella manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici, nei pre-pensionamenti, ecc.) e questo non pare essere compreso da chi lavora nella scuola;
l’Italia è il Paese più finanziato dal PNRR non perché siamo i più furbi a farci finanziare o perché gli altri stati sono buoni e si sono commossi per la nostra reazione alla pandemia, ma semplicemente perché il nostro grado di arretratezza nelle due transizioni è stato ampiamente misurato, dimostrato, accettato;
la caratteristica base sia del PNRR, sia degli obiettivi che l’Italia si è impegnata a raggiungere a livello europeo è quella relativo alla diminuzione della dispersione scolastica, che va drasticamente ridotta perché la nostra è altissima (la più alta in Europa): quindi anche questo è un chiaro obiettivo di sistema (che non può essere armonizzato con chi ritiene che la dispersione scolastica si risolva da sé aumentando le bocciature).
la formazione del personale sulle due transizioni è strategica e di sistema: ma poiché non è raggiungibile in Italia per via obbligatoria (“tutti i dipendenti statali che lavorano a scuola devono formarsi”) perché questo è un ostacolo non aggirabile, visto che nessuna forza sindacale è disponibile ad accettare in contratto una formazione obbligatoria al di fuori dell’orario di servizio così come è rigidamente definito, si va per grandi cifre e target da raggiungere, al fine di centrare ugualmente l’obiettivo di formare tutti, anche quelli che non vogliono sentir parlare dell’argomento.
È sorprendente come la grandissima parte del personale scolastico non voglia stare a tema e ritenga che le argomentazioni corrette siano quelle che decide lui: l’autonomia deve essere assoluta quando fa comodo, deve essere nulla quando invece ci sono problemi, il dirigente scolastico deve assumersi tutte le responsabilità, ma agendo come un unum inter pares di docenti e ata, a molti dei quali degli obiettivi del sistema scolastico nazionale interessa poco o nulla.
Questa forma di schizofrenia ideale va a frangersi poi su due questioni molto evidenti:
per attuare le varie pretese delle scuole servirebbe l’autonomia differenziata, che, così come è stata delineata a larghe linee, di fatto elimina il sistema scolastico nazionale, parcellizzando gli obiettivi a livello locale e creando un baratro tra le varie zone d’Italia;
Per combattere la dispersione scolastica e le sue terribili prospettive (aumento dei ragazzi che dai 17 ai 25 anni non studiano e non lavorano, aumento delle qualifiche inutili legate alle classi di concorso dei docenti e non alle necessità del sistema economico e imprenditoriale, aumento della popolarità della selezione a scuola soprattutto da parte di un consistente numero di docenti di sinistra diventati paladini dei voti bassi e delle bocciature in nome della libertà d’insegnamento considerata come un bene assoluto del docente, che non intende sottostare agli obiettivi del sistema) è necessario rivedere completamente le modalità didattica e gestionali del rapporto tra insegnamento, apprendimento e valutazione, ancorato in italiana ad un’idea didattica trasmissiva e cartacea che ormai non ha eguali nel mondo.
L’autonomia funzionale non piace perché limita le idee di chi lavora nella scuola convinto di aver capito per bene il sistema e le sue necessità, magari lavorando per 30 anni nello stesso luogo. L’autonomia differenziata è il tentativo di una parte politica di scardinare il sistema scolastico nazionale, partendo da bisogni oggettivi dei territori. Oggi è nelle intenzioni di chi la propugna uno strumento di differenziazione irreversibile che in questo momento non può convivere con gli obiettivi unitari del sistema scolastico nazionale, decisi dallo stato, non dalle sue autonomie funzionali. Dentro un sistema scolastico nazionale il Ministero può attivare tutti gli indirizzi che ritiene opportuno, senza interagire con le sue autonomie funzionali. Il Liceo del Made in Italy può sembrare o forse proprio è una “stramberia”, ma non vedo perché non possa essere attivato, visto che tanti indirizzi nella scuola secondaria sono legati ad una vecchia logica e non al mondo che cambia (e sono, appunto, altrettanto “strambi”).
Il PNRR è un piano straordinario per accompagnare delle transizioni, cioè per cambiare radicalmente il nostro modo di vivere, anche a scuola. La digitalizzazione non è una semplice opzione, ma il futuro sotto gli occhi di tutti. Anche di quelli che invece di insegnare le discipline insegnano i libri di testo e mettono in atto tutta la loro straordinaria furbizia per fermare i plagi da internet.
C’è poi la patologia cronica di chi ritiene che le cose si possano risolvere con l’aumento del personale, senza considerare che personale generico e non formato non produce benefici ad alcun livello. Da nessuna parte sento dire che è necessario slegare gli organici dal numero degli studenti e collegarli alle necessità locali, rendendo migliore il supporto alle piccole scuole dilaniate da organici ata esigui e spesso poco competenti e da organici doventi che faticano o a gestire l’ordinario. Né sento parlare di una stabilizzazione reale dell’organico di sostegno, basato su docenti specializzati e non su docenti che si improvvisano in un settore così delicato. La questione vera è che l’organico definito sul numero di alunni produce dispersione e che l’orario di lavoro contrattualizzato non risponde agli obiettivi da raggiungere. Io credo si arriverà prima o poi a due soluzioni semplici, ma proprio per questo osteggiate:
organico quinquennale di scuola senza alcuno spezzonista, con possibilità di modulare l’offerta formativa scolastica di ogni scuola, non legato alle iscrizioni;
orario del personale docente calcolato su base annuale (io dico 1250 ore) da declinarsi su tutte le attività della scuola (insegnamento, recuperi, supplenze brevi, esami, attività funzionali, riunioni, correzioni elaborati, preparazione lezioni, ecc.) nei periodi dell’anno in cui è necessario operare (con una chiusura delle scuole per 15 giorni ad agosto).
Penso che in questa fase sia necessario, però, comprendere che i due grandi obiettivi del sistema (transizione digitale e lotta alla dispersione scolastica) non sono obiettivi di una parte politica, ma proprio obiettivi del sistema scolastico nazionale. Invece si parala d’altro, cioè del perché lo stato ha messo i soldi lì e non là, confondendo la propria idea col proprio ruolo.