(L’elenco di cose che avremmo potuto prendere dalle abitudini degli Stati Uniti d’America è sterminato: le produzioni televisive ben scritte, gli stipendi, l’ascensore sociale che funziona, i cappuccini da mezzo litro; invece, abbiamo deciso d’importare la convinzione demente che sia meglio che le sorti delle persone sfortunate siano affidate alla beneficenza e alla buona volontà dei singoli, che alle tasse e ai governi).
Il tic per cui a disgrazia segue concerto è così pervasivo che gli abitanti delle zone alluvionate, prima ancora di finire di scrollarsi il fango di dosso, andavano sugli account social dei cantanti a dire dovete venire qui a fare un concerto per aiutarci. E i cantanti mica rispondevano ma se veniamo lì creiamo solo inutile traffico e sottraiamo ambulanze vigili e tutte le risorse territoriali che bisogna veicolare su un concerto e che in questo momento a voi servono per altro (gli abitanti del ventunesimo secolo non li trattano come adulti i politici: perché dovrebbero farlo i cantanti?).
Invece di dire «ma quale concerto», hanno tutti passato le giornate a ricevere richieste di partecipazione a concerti per aiutare le zone colpite.
Spuntano concerti a sostegno dell’Emilia-Romagna come prefabbricati dopo un terremoto: c’è quello di Reggio Emilia a fine giugno, quello di Imola a inizio agosto, ce n’è uno stasera a Rimini, e ogni giorno qualcuno chiama i cantanti emiliani (una regione con una densità di cantanti superiore a quella di sfogline) dicendo non puoi mancare al mio evento, c’è bisogno di te, sarai mica insensibile.