Di solito suggeriamo ai nostri politici di fare come i loro colleghi di altri Paesi. Ma non sempre il consenso segnala decisioni ponderate. In tutt’Europa sta scattando un giro di vite sulle locazioni brevi e anche in Italia marciamo al passo. Il successo di AirBnB contribuisce all’aumento del prezzo degli affitti per motivi ovvi. Le piattaforme hanno dato ai proprietari di immobili un’alternativa che prima non c’era. Dare in locazione a lungo termine parrebbe meno rischioso, se non fosse che gli inquilini possono diventare morosi e le intenzioni circa un certo alloggio magari cambiano col tempo. Avere ospiti che si fermano per pochi giorni ha i suoi vantaggi.
Agli albergatori la concorrenza delle case private non piace e sono stati i primi a chiedere l’intervento del legislatore. I turisti, che ne hanno il beneficio di prezzi più bassi, per definizione non votano là dove affittano. A molti residenti, nei centri storici soprattutto, danno fastidio. A scuola raccontiamo ai ragazzi che Firenze e Venezia furono il pinnacolo della civiltà europea, poi ci stupiamo se vogliono visitarle. Le recenti polemiche sui fitti troppo alti fanno pendere la bilancia verso ulteriori regole, vincoli, divieti. Limitare il diritto dei proprietari di disporre dei propri appartamenti sembra la soluzione migliore. Attenzione, però.
Se il problema è antico, norme di questo tipo non basteranno a garantire più affitti a lungo termine – e meno che meno maggiore disponibilità di alloggi. Se l’offerta è carente, bisogna arricchirla. Attaccare AirBnB è una scorciatoia, unisce difensori della quiete pubblica e paladini degli studenti. Ma non tutto è compatibile, nemmeno in politica. O mettiamo le nostre città sotto una campana di vetro o accettiamo di farle crescere, favorendo soluzioni abitative meno costose. Servirebbe una discussione aperta sul Paese e sulle città che vogliamo. Far finta che sia tutta colpa di un sito americano è più comodo.