17/6/23 (Dal film Dramma della gelosia, 1970, di Ettore Scola)
(A un comizio del PCI) Oreste: Bertocchi, te posso di’ ‘na cosa?
Bertocchi: Adesso?
Oreste: Eh sì… Una sofferenza d’amore, può in qualche modo essere collegata alla lotta di classe?
Bertocchi: Ma che stai a dì’?
Oreste: Io cerco di dare a una mia questione personale… è vero… un ambito più allargato, marxista. Pe’ nun sentimme solo. È al segretario della mia sezione che parlo. Io so’ solo, Berto’. Pure in mezzo a tutti ‘sti compagni, me sento solo. E nun è giusto!
La mia unica tessera politica l’ho avuta per soli due giorni. Era il 1969 e poco prima di andare all’universita’ presi la tessera della Fgci (giovani comunisti). Il giorno dopo un compagno mi disse che in serata era convocata una riunione e che dovevo esserci. Scusa, perche’ mi dici che devo esserci? Perche’ dobbiamo parlare di te. Ti hanno visto camminare sul corso con un fascista e devi rendere conto. Facendo mente locale compresi che la mattina avevo camminato per una mezzoretta con un mio amico col quale avevamo fatto insieme elementari e medie. Era fascista ma non era ne’ un delinquente ne’ un picchiatore. Per farla breve, la sera mi presentai in sezione dove avevano intenzione di farmi un processo, misi la mia tessera intonsa sul tavolo e dissi: E’ una bella serata, non perdete tempo con me, riconsegno la tessera e tolgo il disturbo. Fu quindi nel 1969 che decisi che per me politica e personale vanno tenuti separati altrimenti e’ un casino, perche’, come mi hanno insegnato tanti intellettuali seri, le persone sono una cosa e non vanno confuse con quello che pensano o che votano. La politica (o meglio le scelte politiche che sono sempre contingenti e provvisorie, si cambiano con l’eta’ e con le esperienze) non deve essere, come si diceva allora, “messa al primo posto” perche’ la politica e’ una parte della vita, non tutta la vita. Ma nel 1969 purtroppo con i baffi e le barbe e gli eskimi si imposero militanza e dedizione alla causa che fanno parte di un vecchio armamentario che da sempre ha affascinato gli uomini (sovraesteso) ai quali piace arruolarsi, amano le divise, i clan, le bande, le milizie, i collettivi, chiamatele come volete. Noi contro loro, tutto qui.
Il personale è politico, affermarono le femministe negli anni settanta e così si mischiarono cose che era meglio tenere distinte. “È tempo di riaffermare il personale. Una nuova sinistra deve dare forma a sentimenti di impotenza e indifferenza in modo che le persone possano vedere le origini politiche, sociali ed economiche dei loro problemi privati e organizzarsi per cambiare la società.” Ciò in pratica significò che uno di destra non poteva essere amico di uno di sinistra.
Adesso (dopo 64 anni) che tutto si è mischiato, si vede bene che era tutto un gioco delle parti. Berlusconi in pubblico nel 2013 puliva la sedia di Travaglio e poi in privato dietro le quinte diceva a Santoro: Michele come ci stiamo divertendo questa sera. La guerra politica a B. sul piano personale a Travaglio ha portato tanti soldi e popolarità. Già con i professionisti dell’antimafia e gli odiatori di professione avevamo capito che la politica disinteressata non esiste (la politica è diventata un mestiere e serve per conquistare potere). Lo si era capito ben prima dell’avvento di quelli che hanno ottenuto successo politico prendendosela con la politica. Che è come se uno disprezzasse la televisione comparendoci ogni sera.
Allora consentitemi di parlare di “privato”. Su alcune cose private sono rimasto fermo e così evito di avvelenarmi la vita. Per esempio non frequento i social che sono lo spazio nel quale le curve, i fanatici, i faziosi, si ri-trovano per dar libero sfogo alle proprie certezze. Oppure non vado ai funerali dove non si va per omaggiare i morti ma per incontrare i vivi. Evito i matrimoni affollati perchè avevano un senso fin quando l’estrema povertà veniva riscattata da occasioni speciali di gioia e di riunione. Evito le feste popolari perchè ti mischi alla massa fin quando sei giovane, forte e incosciente. Ad ogni modo adesso mi è molto più chiara, avendo una età abbondante, la natura della malattia politica che presi a diciotto anni e che mostra le sue cicatrici e le sue scorie pur dopo varie cure e rimedi.
La malattia la spiego con una frase scritta dal più grande scrittore di tutti, Cormac McCarthy, scomparso in questi giorni, nel suo “romanzo in forma drammatica”, il più implacabile dell’autore texano:
“E comunque, chi è sempre pronto a occuparsi dei perfetti sconosciuti molto spesso non si occupa delle persone di cui dovrebbe occuparsi. Per come la vedo io. Se uno si limita a fare ciò che dovrebbe, non diventa un eroe” (da Sunset Limited, Einaudi, 2017). La malattia insorge per la smania di volersi occuparsi dei perfetti sconosciuti, ai quali s’intenderebbe (come se fosse facile e possibile) migliorare la vita. Comincia con piccoli disagi che comportano riflessioni incertezze e illusioni, intorno ai grandi temi delle disuguaglianze sociali e delle ingiustizie. Continua con la fissazione di occuparsi del collettivo e del sociale mortificando il proprio “privato“, combattendo contro quella che viene considerata una camicia di forza, l’individualismo. Si finisce, con la malattia ormai in fase acuta, con l’arruolarsi in milizie che passano il tempo a combattere contro i Nemici (McCarthy: Quello che unisce gli uomini non è la condivisione del pane ma la condivisione dei nemici). I Nemici cambiano con gli anni e ogni volta te ne trovi uno. Meno male che ci ho messo meno di venti anni a capire che questa malattia (che io chiamo ideologia) mi faceva dividere il mondo in Buoni e Cattivi. Io stavo con i Buoni, o meglio, pensavo di stare con i buoni, ma non era vero perchè quelli che sembrano buoni sono cattivi e viceversa, siamo tutti mischiati e la cosa è più complessa perchè in ciascuno di noi c’è una parte buona e una cattiva. Sempre McCarthy ha spiegato una volta cos’è la vita, un campo di lavori forzati dove ogni giorno si estraggono a sorte alcuni innocenti per essere giustiziati, ecco tutto, e quindi si continua a lavorare aspettando che venga il tuo turno.
Ora, la domanda è: la politica dei Buoni che combattono i Nemici e le bande, armate o no, che combattono denominandosi resistenti, o combattenti o miliziani, rispetto alla vita che ci è toccata in sorte (i lavori forzati) riesce a migliorarcela? La mia risposta è negativa ma ci sono tanti che al contrario ritengono di averla riempita con illusioni e speranze, che per comodità possiamo riassumere nelle religioni e nelle militanze.
Come il religioso si rassegna e trova nella vita ai lavori forzati il senso dell’attesa di una rinascita che sarà data in premio a chi si è comportato bene (più o meno), così l’ateo non crede nel mondo che verrà ma si sbatte per vedere in questa vita il sol dell’avvenire. Tali risultati li valuta inventandosi una contabilità personale che gli consente di continuare ad alimentare la sua speranza. Questo concetto lo spiego sempre con un episodio che mi capitò quando ero giovane.
In una campagna elettorale stavamo attaccando dei manifesti e incrociammo per strada dei marxisti-leninisti maoisti. Il dialogo che ne seguì conferma quello che ho appena detto sulla contabilità personale. Il giovane maoista che come noi attaccava manifesti si disse sicuro che quella volta le elezioni per loro sarebbero state un successo: pensiamo di raddoppiare i voti. Addirittura, ma scusa come fai ad essere così sicuro di farcela? Quanti voti hai preso a Lamezia la scorsa volta? Egli ci rispose: la volta scorsa abbiamo ottenuto 1 voto, stavolta sono sicuro che arriveremo a 2.
Questo episodio, vero, dimostra tante cose. Innanzitutto l’ideologia è anch’essa una sorta di religione che ti fa vivere il presente con la speranza che il futuro sarà molto meglio. Poi crea quella concezione minoritaria che fa coincidere la parte con il tutto, per cui il mondo intero coincide con quello che tu osservi dalla tua finestrella. Inoltre, la post-verità che ha fatto irruzione con il web e i social nelle nostre vite ha spazzato via fatti, numeri, oggettività, logica, per cui ciò che oggi ci divide sono solo sensazioni. Non conta più quello che sei o che fai ma quello che racconti. L’ideologia è una malattia inguaribile per i Buoni che, in nome delle libertà (di tutte le libertà, individuali e personali) sommate con i diritti civili portati su territori che nell’altro secolo non si potevano neppure immaginare (eutanasia, maternità surrogata, Lgbtq), invoca, in una contraddizione insanabile, di continuo l’intervento dello Stato che deve ordinare a tutti: questo si fa perchè è buono e questo non si fa perchè è cattivo. In altre parole, l’ideologia è una sovrastruttura che esige il crescente intervento nella struttura (economia) da parte dei governi, e persuade i politici di essere più furbi del mercato.
Come spiegava Adam Smith, il miglioramento della vita della gente comune non può essere raggiunto tramite la redistribuzione delle ricchezze o un eccessivo intervento dello Stato, bensì mediante i frutti dello sviluppo economico, che necessita di libertà economiche. Perchè con la libertà economica si espande il mercato e di conseguenza aumenta il tenore di vita delle persone. Trecento anni dopo la sua nascita e circa 250 anni dopo la pubblicazione della Ricchezza delle nazioni possiamo affermare che Adam Smith aveva ragione, tranne per tutti coloro i quali si battono oggi per i diritti civili e le libertà politiche.
Detto in altre parole, notate come quelli che si battono per le libertà individuali vogliono sempre piu’ Stato, non meno (tutto per loro deve essere pubblico), e non accettano le libertà economiche, per cui la libertà diventa una specie di mela che viene tagliata a fette. Ecco perchè ad un certo punto io mi sono ripreso la mela intera, senza avere più nemici e senza considerarmi il Buono che vuol fare la morale a tutti.
Ho cercato di fare il mio dovere, questo sì, e in Italia purtroppo uno così facendo diventa suo malgrado un eroe. Ma l’eroismo non viene compreso in vita, anzi viene duramente contrastato, e solo post mortem viene riconosciuto.