Su questo blog (22/10/22 Lo scandalo degli stipendi dei presidi, diversi a seconda della Regione) ho scritto:
Guardiamo le cifre dei dirigenti scolastici. Oggi c’è una forte disparità tra le diverse regioni italiane per quanto riguarda la media pro capite della retribuzione variabile ed accessoria dei presidi. Un dirigente campano rispetto al suo collega del Friuli viene pagato 509 euro in meno al mese. Vi sembra una cosa legittima per due che fanno lo stesso lavoro? Come tutti sanno da decenni, i Dirigenti Scolastici non hanno nessuna “colpa” per questa disparità, la colpa è…dei sindacati e dell’Aran! Ma non basta, se poi andiamo a vedere le posizioni individuali e analizziamo la situazione delle diverse regioni in base alle “fasce di complessità” in cui sono organizzate le scuole regione per regione, osserveremo che, per fare un solo esempio, due dirigenti di Liguria e Friuli prendono due stipendi molto diversi. Esaminando la sola retribuzione di posizione/parte variabile, perché è questa la voce che entra nello stipendio mensile, un Dirigente di prima fascia della Liguria percepisce 8.912,53 euro annui in più rispetto al collega del Friuli Venezia Giulia; questo vuol dire che nello stipendio mensile del primo entrano 685,58 euro in più rispetto al collega dell’altra regione. Sono entrambi dirigenti, con scuole in prima fascia (perché la posizione variabile e il risultato dipendono dalla fascia in cui è collocata la scuola), ma tra loro corre una differenza di stipendio rilevante. Quasi 700 euro al mese.
Ora, (23/8/23 Corsera) la direttiva Ue 2023/970 per la parità di retribuzione fra uomini e donne prevede il divieto del segreto salariale. La differenza di retribuzione tra dirigenti scolastici di regioni diverse verrà quindi facilmente alla luce.
La direttiva Ue riconosce ai lavoratori il «diritto all’informazione» in base al quale potranno «richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore». I lavoratori avranno la possibilità di richiedere e ricevere queste informazioni anche tramite i loro rappresentanti o tramite un organismo per la parità. La risposta da parte del datore di lavoro deve arrivare entro e non oltre due mesi dalla data in cui è stata presentata la richiesta. « Se le informazioni ricevute sono imprecise o incomplete, i lavoratori hanno il diritto di richiedere, personalmente o tramite i loro rappresentanti dei lavoratori, chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli riguardo ai dati forniti e di ricevere una risposta motivata», si legge nel testo. Inoltre, sempre secondo le nuove regole, ai lavoratori non può essere impedito di rendere nota la propria retribuzione ai fini dell’attuazione del principio della parità di retribuzione.