Per avere un’idea di cosa resterà del paesaggio calabro dopo la “cura”, bisogna andare in visita sulle colline fra i comuni di Maida, San Pietro a Maida, Girifalco e Cortale. Qui, diversi anni fa, con la complicità delle amministrazioni locali e l’assordante silenzio dei cittadini (salvo poche eccezioni), paesaggi di pregio si sono trasformati in un Golgota costellato di immense, funeree croci ruotanti. Lo osservo, questo scempio, ogni giorno, scendendo verso Lamezia Terme dalla mia casa, sul versante opposto della Piana di Sant’Eufemia. A sera, l’intera linea di colline a sud della Piana è un camposanto, con decine e decine di lumini rossi che tremolano nel buio. Se ci vai dentro di giorno, invece, resti sopraffatto dalla sproporzione di quei mostri d’acciaio e dal loro rumore sinistro: un impatto terribile sulle delicate, silenziose distese di ulivi secolari. I bei paesi, gli antichi casali, le piccole fattorie, i resti del patrimonio storico e artistico sparsi sul territorio se ne stanno, silenziosi e depressi sotto l’incombere di questi monumenti della fantomatica energia green. Quale beneficio i parchi eolici del Maidese abbiano portato alle popolazioni dei paesi nessuno lo sa. Anche perché le casse dei comuni piangono il mancato pagamento delle royalties che le società dell’eolico avevano fatto brillare come specchietti per le allodole.
In questi giorni fra l’Aspromonte e la Sila, ad Agnana, Antonimina, Acri, le comunità locali insorgono contro nuovi parchi eolici che andranno a devastare altri paesaggi, altri pezzi di territorio calabro, in una corsa sfrenata verso il completo disfacimento. Diciamocelo con franchezza: a scendere in piazza non sono folle oceaniche. Si tratta di piccole avanguardie pensanti e critiche che provano a scalfire il coma topografico delle popolazioni, abituate a veder passare di tutto sulla pelle dei territori. Ma le avanguardie possono rifarsi ad esperienze di un passato più o meno prossimo: la battaglia della gente e delle amministrazioni di Capistrano, Monterosso Calabro e Polia contro le pale sul Monte Coppari, ad esempio; oppure quella dell’area del Reventino-Mancuso contro gli svariati progetti di parchi eolici che ancora incombono sui monti a nord della Piana di Sant’Eufemia. In entrambi i casi la marea montante dell’eolico è, per ora, arginata. E ciò è stato possibile proprio perché le popolazioni – e talvolta le amministrazioni locali – hanno preteso di dire la loro. Esattamente come recita l’art. 5 della Convenzione Europea del Paesaggio. Solo che bisogna vigilare ed essere tempestivi. La Calabria sarà investita, nei prossimi mesi, da una valanga di progetti eolici, che verranno comunicati ai comuni e che i comuni dovranno rendere pubblici. Da quel momento scatterà un termine brevissimo perché le amministrazioni, le associazioni, i cittadini esprimano la loro opposizione. Scaduto il termine sarà molto difficile contrastare i progetti.
E che nessuno venga a farci la predica sul contributo che anche la Calabria deve dare al deficit energetico del Paese: la regione produce (in parte proprio da fonti rinnovabili) il triplo dell’energia che consuma. E nemmeno ci si dica che le società dell’Eolico sono delle benefattrici: i loro proventi vengono soprattutto dagli incentivi che lo Stato e l’Europa (con i nostri soldi) elargiscono loro per la semplice costruzione dei parchi eolici. Resta il nodo del paesaggio che, se in Calabria, come è ormai riconosciuto, conserva un alto gradiente estetico ed etico (nonostante le rovine disseminate ovunque dal secondo dopoguerra in avanti), deve essere tutelato. Il risveglio dei calabresi in difesa dei loro paesaggi è un labile, prezioso segnale di speranza in una terra dove la speranza sembra morta da tempo.