Dice Elly Schlein che la riforma della Costituzione proposta dal governo Meloni, quella che prevede il premierato, è «un progetto pericoloso» e va rimandata indietro: «Facciamoci qualche domanda se il premierato non esiste in nessun altro Paese», argomenta in tv la segretaria del Partito democratico: «Indebolisce ulteriormente il Parlamento e non ne abbiamo bisogno, di fronte a un governo che sta abusando della decretazione d’urgenza. Giù le mani dal Presidente della Repubblica che in questa riforma diventa un elemento di arredo, una figurina. Questa riforma scardina la forma di repubblica parlamentare».
Di fronte al testo presentato dalla maggioranza, fortemente criticato da autorevoli giuristi (Francesco Clementi, Stefano Ceccanti) e anche da autorevoli esponenti della destra (Marcello Pera, ex presidente del Senato e attuale senatore di Fratelli d’Italia), il centrosinistra si ritrova con due possibilità. La prima è dire assolutamente no alla riforma costituzionale e non proseguire oltre, una posizione sostenuta non solo da Elly Schlein ma anche dal capo del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte. La seconda è provare a proporre una sorta di contro-riforma, che tenga conto di quanto sia difficile oggi governare stabilmente e che non stravolga tuttavia la Costituzione.
È la via che ha indicato nei giorni scorsi, per esempio, il senatore Dario Parrini, esperto di riforme e sistemi elettorali, rilanciando il modello tedesco. «Il centrosinistra – ha detto a Public Policy – deve dire insieme un no e un sì. No a questa riforma e un sì a una sua riforma: il modello tedesco. La pura difesa dell’esistente è perdente». Il modello tedesco ha la sfiducia costruttiva, ha spiegato Parrini, «ma non solo quella. Prevede l’elezione parlamentare del premier in una sola Camera, cosicché la fiducia va a lui e non all’intero governo. Il premier ha il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento in caso di sconfitta su un voto fiduciario».
Il modello tedesco inoltre prevede il «superamento del bicameralismo perfetto in direzione di un bicameralismo differenziato. Ha una legge sui partiti degna di questo nome, con disciplina pubblica della loro democrazia interna. È previsto anche il finanziamento pubblico. Ha una legge elettorale sufficientemente selettiva e pro governabilità. Porta cioè il premier a governi più stabili e solidi senza uscire dalla forma di governo parlamentare». Il progetto dell’attuale governo è invece «la liquidazione della forma di governo parlamentare per realizzare una sorta di presidenzialismo di fatto o criptopresidenzialismo che nessuna Repubblica parlamentare al mondo utilizza».
Anche Carlo Calenda, leader di Azione, parlando con il Corriere della Sera, ha rilanciato il modello tedesco, un modello «molto consolidato» che, «dal ‘90, ha prodotto quattro cancellieri invece dei nostri quattordici presidenti del Consiglio, e dieci governi invece dei nostri ventidue esecutivi. Invece di andarci a inventare dei modelli mai visti e mai sperimentati nel mondo, perché non possiamo optare per quello che, peraltro, dà anche il potere al cancelliere di scegliersi i ministri?».
In questo modo, insomma, la proposta alternativa dei riformisti (anche quelli del Partito democratico, ancora in cerca di soluzioni dopo lo schiaffo delle primarie del 26 febbraio scorso), diventerebbe un’occasione per sfidare sia Meloni sia Conte sul terreno della riforma costituzionale. Il duello con il capo dei populisti italiani d’altronde proseguirà fino alle elezioni europee. Come alle scorse elezioni politiche, quando il presidente del Movimento 5 stelle polarizzò lo scontro con il Partito democratico al punto tale da guadagnarci nelle urne.
Conte, come si evince dalle numerose interviste degli ultimi dieci giorni , è in piena campagna elettorale. Si concede persino il lusso di spiegare al Partito democratico come si dovrebbe comportare il Partito democratico e, in generale, come si fa opposizione, candidandosi a diventare il capo dei progressisti italiani, non soltanto il noto «punto fortissimo» eccetera.
Oggi il Partito democratico sarà in piazza a manifestare contro il governo e Conte ha già fatto sapere che ricambierà le affettuosità delle settimane scorse, scendendo in piazza pure lui. Inevitabilmente, la manifestazione contro il governo diventerà anche contro la riforma costituzionale. Nel centrosinistra si discute perché, appunto, si può dire no a questa riforma senza dire no a ogni riforma. Ma davvero, nel caso in cui non si arrivi a una riforma condivisa, il Partito democratico pensa di essere più forte in un referendum su una posizione di allarmismo costituzionale contro ogni riforma anziché sulla base di una proposta positiva?