C’è un’unica grande chiesa che parte da Matteo Salvini e arriva fino a Elly Schlein, passando attraverso Giuseppe Conte: è la parrocchia di quanti attaccano il governo per la liberalizzazione dell’energia elettrica e del gas. Dietro questo inedito asse c’è un triplice testacoda: economico, istituzionale e politico. Parlando di fronte alla stampa estera, il leader della Lega ha detto sostanzialmente le stesse cose che la segretaria del Partito democratico aveva snocciolato ai cronisti italiani: la fine della maggior tutela porta con sé un rischio stangata per i consumatori.
Non si può non riconoscere l’onore delle armi a chiunque abbia voluto chiamare “maggior tutela” quello che in realtà è un prezzo amministrato, visto che la verità dei numeri nulla può contro la forza del nome. Infatti, è proprio a causa della “maggior tutela” se circa un terzo delle famiglie italiane hanno pagato, l’anno scorso, prezzi stratosferici. Lo certificano i dati dell’Arera (l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, responsabile di fissare trimestralmente i prezzi “tutelati”): nel 2022, il prezzo medio pagato dai clienti sul mercato libero è stato di circa 282 euro al megawattora (MWh), contro 402 dei clienti “tutelati”. È vero che negli anni precedenti questi ultimi avevano sborsato leggermente meno. Infatti, la maggior parte dei contratti sul libero mercato (è ancora una volta l’Arera a dirlo) sono a prezzo bloccato oppure comprendono altri servizi aggiuntivi. Quindi, chi paga di più spesso compra di più. Ma, soprattutto, negli anni passati chi stava sul libero ha sovente sottoscritto una sorta di assicurazione contro i rincari: e proprio quando ne ha avuto bisogno, il meccanismo ha funzionato, proteggendolo dai prezzi record dell’anno passato.
Tuttavia, anche affrontare la questione in questi termini – che sono poi quelli che ieri risuonavano a destra e a manca – sarebbe fuorviante. Perché Salvini, Schlein & Co. sembrano non sapere che, con la fine del servizio di tutela per circa 5 milioni di clienti “non vulnerabili”, questi non verranno automaticamente spediti sul libero mercato. Saranno invece presi in carico da nuovi fornitori selezionati attraverso procedure competitive, previste per il 10 dicembre, dalle quali emergeranno le offerte più convenienti. Per farsi un’idea di come potrebbero andare, è sufficiente osservare gli esiti delle precedenti, che hanno riguardato le piccole e medie imprese (2021) e le microimprese (2022): in entrambi i casi il meccanismo ha determinato prezzi inferiori alla tutela e garantiti per tre anni (fatta salva la scelta dei consumatori di cambiare fornitore, ovviamente). Interrogato dal deputato di Forza Italia Luca Squeri, il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini, ha sottolineato che, se le aste precedenti ci danno qualche indicazione, questa lascia spazio per l’ottimismo. Una stima cauta suggerisce che, una volta chiusa l’esperienza della maggior tutela, i consumatori che resteranno col nuovo fornitore potrebbero risparmiare all’incirca 200 milioni di euro in un anno. Poiché si è scelto di lasciarne fuori i vulnerabili, il paradosso è che questi pagheranno l’energia di più, e ciò sarà evidente all’indomani delle aste di dicembre.
D’altronde, rimettere in discussione il completamento della liberalizzazione rischia di aprire un fronte con la Commissione europea, nonostante questa mattina il ministro Gilberto Pichetto Fratin ripetesse che “stiamo trattando”. Secondo quanto si dice, Bruxelles avrebbe mandato un messaggio durissimo sul tema ed è anche per questo che il ministro Raffaele Fitto ha fatto da scudo umano ai propositi controriformisti. E qui c’è il paradosso più incredibile dell’intera vicenda: la difesa della liberalizzazione spetta a un esponente di Fratelli d’Italia, l’unico partito che può dire di non avere alcuna responsabilità in questa scelta. Infatti, il Pd, la Lega e il M5s – che oggi guidano il fronte del no – hanno sostenuto e votato il Pnrr proposto da Draghi, cioè proprio il documento che blinda la liberalizzazione (come ha riconosciuto, in coraggioso dissenso dal suo partito, l’ex sottosegretario Enzo Amendola). E’ dunque curioso che, pur litigando su tutto, il “Partito unico anti-mercato” (copyright Luigi Marattin) abbia trovato una convergenza proprio contro una norma che esso stesso ha votato e voluto.
Delle due quindi l’una: o Pd, Lega & M5s hanno approvato un Piano da 200 miliardi senza comprenderne i contenuti, o pensano che a Bruxelles abbiano l’anello al naso, oppure credono che gli elettori possano essere impunemente presi in giro in una continua guerra di posizionamento in cui la sostanza delle cose è peggio che irrilevante: è fastidiosa.