“Corto muso” Allegri è in questo momento (inizi del 1924) la Juventus. Ha dentro la società un potere smisurato e l’unico suo obiettivo è rimanervi ancora per altri anni facendo il dirigente oltre che l’allenatore. E allontanando i suoi nemici, Calvo e Giuntoli in primis. Cioè quelli che Elkann sulla carta ha messo sopra di lui, Scanavino e Ferrero essendo di passaggio. Se questo, qualunque sia l’epilogo, non sarà l’ultimo anno di Allegri alla Juve, significherà che oltre ad aver perso, dopo 2 stagioni orribili, qualsiasi logica aziendale, la Juve è stata consegnata nelle mani di uno solo: un allenatore ormai ridicolo. Vorrei spiegare perchè.
Nella nostra civiltà contadina e poi in quella industriale i lavoratori pensavano che il loro lavoro (il saper fare) consistesse nel fare sempre le stesse cose sino alla pensione. Nel lavoro postindustriale (con la tecnica diventata un fattore essenziale) non è più così, l’intera vita lavorativa diventa un processo per acquisire di continuo nuove competenze, per cui l’istruzione non finisce, è permanente: non si finisce mai di imparare, di apprendere nuovi saper fare e di applicarli. Si sa, è’ molto difficile reinventarsi, cambiare, lasciare vecchie consolidate abitudini.
Le difficoltà delle varie squadre (primo e secondo ciclo) di Allegri alla Juve stanno tutte nel risalire il campo, nell’uscita palla ogni volta che la squadra si trova di fronte ad un pressing organizzato. In questo settore il lavoro di Allegri è gravemente insufficiente. Dalla difesa, per capirci, lui si affida sempre al lancio lungo (su Mandzukic o su Rabiot o su Vlahovic) e alla seconda palla, mentre ci sono allenatori, da Guardiola a De Zerbi che sull’uscita dal pressing basso hanno costruito le loro carriere.
Anche quando avevamo squadroni, nel momento in cui incontravamo squadre o squadrette che ci pressavano nella nostra metà campo andavamo in difficoltà. Su quella situazione Allegri non ha mai voluto lavorare, anche adesso che se ha inserito nello staff prima Bianco e quest’anno Manganelli.
Forse ritiene che perdere palla vicino alla propria porta sia troppo rischioso rispetto ai vantaggi e quindi preferisce che si cominci con passaggi tra Danilo, Bremer e Gatti, distanti 30 metri uno dall’altro, prima che uno dei tre lanci in avanti a casaccio sperando nella seconda palla.
Invece sull’uscita bassa dal pressing avversario le squadre più moderne hanno costruito le proprie fortune perchè è il gioco dell’attirare in avanti gli avversari, talvolta aspettandoli, invogliandoli. Poi, come il canarino Titti col gatto Silvestro, si tratta di eludere il pressing ed ecco che si apre un varco per attaccare la squadra avversaria sul suo lato debole, dove è più sguarnita.
Un’altro punto debole di Allegri è l’incomprensione di questo concetto: non sono i fuoriclasse ad aver bisogno di schemi ma i giocatori più deboli. Modric del Real Madrid sa in qualsiasi situazione istintivamente come scegliere il meglio, Locatelli deve invece avere delle linee guida, delle situazioni codificate. E poi Allegri sembra non capire che fare un passaggio di pochi metri è più facile che fare un lancio dai 30 mt in su; così come chi ha la palla è facilitato nel suo compito se ha vicino due o tre opzioni di passaggio , mentre se ne ha una sola, la sua scelta è obbligata e quindi gli avversari possono capirla senza difficoltà.
Ciò detto, è chiaro che il mestiere di allenatore è difficile perchè, come si dice, non hanno la bacchetta magica e dunque ogni loro ciclo finisce. Allegri ha vinto 5 volte consecutive dal 2015 al 2019, ma gli ultimi due anni (20/21 e 22/23) dopo una pausa di due anni, ha fatto disamorare tutti i tifosi juventini (tranne quelli che tifano l’Allegrentus) per un gioco non solo brutto e disorganizzato ma anche inefficace (con sconfitte urticanti con piccole squadre italiane ed estere tipo Monza e Maccabi).
Probabilmente un allenatore su una squadra incide solo per un quarto quanto ai risultati, ma ciascun tifoso oltre alle vittorie della sua squadra ricorda piacevolmente il gioco. Con Trapattoni la Juve ha vinto molto ma c’è una ragione se tutti siamo più legati a Lippi, col quale abbiamo vinto ma giocando e non solo in Italia in maniera indimenticabile. L’importante è vincere, certo, ma se vinci giocando bene ti fai ammirare da tutti, anche dagli avversari.