“Il primo passo è quello dei comandanti partigiani del Comitato di liberazione nazionale che sfilano a Milano il 6 maggio 1945. Il primo passo che contiene tutti i successivi… Se mai c’è stato un nuovo inizio nella storia nazionale è questo. In quel momento non hanno alle spalle nulla e nulla sanno del futuro. Hanno combattuto per una patria che non conoscono, e che non esiste ancora, se non nell’idea che li ha tenuti vivi, nel buio, nella solitudine, nella paura… La piccola Patria che ha combattuto per tutti, mentre il fascismo che aveva esaltato la Grande Italia al tavolo dei vincitori l’ha consegnata alla distruzione, all’umiliazione, al servilismo nei confronti dell’invasore nazista. Una piccola Patria che ha saputo scegliersi la parte, da che parte stare”. Si apre così, con la descrizione di questa famosa immagine il libro di Marco Damilano La mia piccola Patria (Milano, Rizzoli, 2023, pagine 309, euro 27) che, grazie anche a un ricco apparato fotografico valorizzato dal grande formato, racconta con dovizia di particolari la storia dell’Italia repubblicana.
È la “storia corale di un Paese che esiste”, come si legge nel sottotitolo, ma non sarebbe stato scorretto dire che “resiste”. E lo fa da quasi ottant’anni nonostante le trame e gli scandali che hanno minacciato la stessa tenuta democratica dello Stato, come del resto si evince dai fatti riportati e dalle sottolineature dell’autore, che quei fatti rilegge non solo con l’occhio attento del cronista ma anche con lo sguardo distaccato e analitico dello studioso. Una lettura dalla quale emerge l’immagine di un Paese che Damilano definisce “di molte patrie, spesso divise, a volte sconfinanti nell’egoismo di sigla, di corporazione, clan, nel familismo, ma anche segnate da apertura, generosità, coraggio. Tutte accumunate da un percorso che non è mai stato lineare, ma pieno di ostacoli, cadute, tentazioni di ritorni all’indietro”.
Partendo dall’immagine simbolo di quel 6 maggio in cui compaiono solo uomini, ma senza dimenticare l’apporto fondamentale delle donne, il libro ripercorre gli anni difficili della ricostruzione, materiale e morale, dell’Italia ferita dalla sciagurata guerra voluta dal fascismo, con la sua velenosa eredità fatta di sanguinose vendette. E, un decennio dopo l’altro, viene descritta un’Italia che dal bianco e nero passa al colore giungendo ai nostri giorni: la Costituente, il primo Parlamento, il boom economico, l’austerity, gli anni di piombo, le spinte eversive e autoritarie, i servizi deviati, la massoneria, gli assassinii e le stragi terroristiche e mafiose, i disastri naturali, tangentopoli, la fine della cosiddetta prima Repubblica, la discesa in campo di Berlusconi, il disfacimento dei partiti tradizioni, l’avvento di partiti nati dal basso e dalla Rete, fino al governo Meloni.
“In tutti questi momenti le mille patrie si sono incrociate, si sono scontrate, hanno convissuto, si sono riunite quando le libertà conquistate sono state minacciate. C’è un filo che lega le trame occulte che hanno tormentato il nostro Paese come in nessun altro angolo d’Europa”, sottolinea Damilano, che aggiunge: “La fragile democrazia italiana è stata attraversata da tentazioni golpiste” con i legami tra massoneria, servizi deviati ed eversione fascista, e messa alla prova dal terrorismo di sinistra che “ha stroncato una stagione di cambiamento” portando alla “eliminazione fisica di politici riformisti, studiosi progressisti, magistrati coraggiosi, giornalisti, operai”. Per questo parla di un “Paese a sovranità limitata”, nel quale tuttavia le iniziali scelte fondamentali operate da De Gasperi, l’atlantismo e l’Europa, “sono state interpretate dai suoi successori in modo creativo e non servile”.
Ma è anche una storia “segnata da singole persone che quando arriva il momento sanno scegliersi la parte”, sottolinea Damilano. Che ne elenca alcune, come il giudice Giorgio Ambrosoli, ucciso dopo essere stato nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e delle attività finanziarie del banchiere Michele Sindona, orgoglioso, lui monarchico, di fare politica “in nome dello stato e non dei partiti”; o come Franca Viola, che nel 1965 rifiuta il matrimonio riparatore con l’uomo, un mafioso, che l’aveva stuprata, la prima a farlo; o Ilaria Cucchi determinata a scoprire la verità sulla morte del fratello e a non accettare quella “ufficiale”. Senza dimenticare le famiglie delle vittime delle stragi di Brescia, Ustica, Bologna, la famiglia di Giulio Regeni: “A loro – riconosce il cronista – è toccato il compito più alto. Tra tanti che spendono la parola ‘Patria’, per nobilitare un interesse particolare, sono riusciti a trasformare il proprio dolore in un destino comune, a colmare il vuoto delle istituzioni e dello Stato, a rappresentare la Patria che altri hanno offeso”.
Ma non sono i soli ai quali Damilano rende merito. Perché l’album presenta anche personaggi meno noti o sconosciuti. Sono quelli che lasciano l’Italia per cercare fortuna altrove, gli Expat, e quelli che invece in Italia arrivano, i migranti. “La piccola Patria – spiega l’autore – è la traversata del deserto a piedi nudi, la prigione delle torture in Libia, il barchino che attraversa il mare fino a Lampedusa”. E allora il plauso va anche ai giovani che salvano vite sulle navi delle Ong, “spesso ostacolati da governi di ogni colore, eppure sono una riserva etica, una nuova forma di impegno e di militanza politica e civile”. Ma non dimentica quanti restano invisibili, senza cittadinanza né diritti. Come Saman Abbas, ragazza di origine pakistana uccisa dai familiari a Novellara perché, come Viola, non voleva sottostare a un matrimonio combinato, o come Soumaila Sacko, giunto dal Mali, assassinato in Calabria per il suo impegno di sindacalista in difesa dei migranti lavoratori.
È dunque un’Italia dalle tante facce quella raccontata con passione da Damilano, ma senza alcuna indulgenza verso chi l’ha offesa e umiliata, e che ancora continua a farlo. Un’Italia a cui guarda comunque con speranza per il futuro. Perché, come chiosa parafrasando una poesia di Rocco Scotellato del 1949, “la Patria non è una fortezza da difendere, un castello da rendere inespugnabile, ma un filo d’erba che trema, un seme che può essere raccolto altrove… Solo perdendoci potremo ritrovarci, solo uscendo da noi stessi potremo tornare a casa, per poi uscire ancora. Per compiere un altro passo di quel cammino cominciato ottant’anni fa, in una mattina di primavera”.
L’Osservatore Romano del 4 dicembre 2023
“La mia piccola Patria. Storia corale di un Paese che esiste”, di Marco Damilano, pp. 312, euro 27,00, Rizzoli 2023