Un sussulto di dignità ha platealmente travolto la povera Elly Schlein, rimasta da sola a fare la parte del punching ball di Giuseppe Conte. Dopo gli schiaffoni ricevuti col sorriso sulle labbra dalla segretaria alla presentazione del libro di Roberto Speranza, ieri dirigenti del Partito democratico di tutte le aree hanno detto: Elly, ora basta. E la segretaria ha impapocchiato una linea di cauta polemica con l’avvocato. Ma proprio cauta, perché, come recita la litania imparata alle elementari, il nemico è Giorgia Meloni: «Se qualcuno pensa di attaccare o insultare il Partito democratico invece del governo sta sbagliando strada». Accidenti che replica tosta. Ma lei è fatta così, mai litigare con gli alleati. Anche quando non sono alleati.
Il punto è che per la prima volta la leader del Partito democratico è finita non in minoranza ma in totale solitudine. È un fatto di una certa importanza: scoperchia l’ormai larga insofferenza riguardo questo atteggiamento del porgere l’altra guancia che Schlein porta avanti nei riguardi dell’avvocato – che da mesi gioca con lei come il gatto col topo.
Da Andrea Orlando a Lorenzo Guerini, da Alessandro Alfieri a Matteo Orfini, è stato un coro: non se ne può più degli insulti di Conte (tra cui un orrido «Partito democratico partito bellicista»), e tu, cara Elly, devi rispondere. Persino Arturo Scotto, da buon bersaniano ammiratore di Conte, aveva criticato il capo del Movimento 5 stelle, a riprova che qui la questione non è solo il disappunto, l’ennesimo, dei riformisti, ma anche la critica diretta a Schlein da parte di esponenti come Orlando che pure la sostenne alle primarie: per dire di come l’aria si stia facendo pesante. «I titoli per farci gli esami non li vedo – è sbottato Orfini –, cos’è il Partito democratico è noto, a quale famiglia appartiene è noto, non altrettanto si può dire del Movimento 5 stelle».
I dem sono rimasti inorriditi dalla non scelta di Conte tra Joe Biden e Donald Trump, che poi è stata letta come una larvata preferenza per quest’ultimo in parallelo al “putinismo a cinque stelle” mostrato da sempre sulla questione ucraina.
Ovvio che tra i più scandalizzati vi sia stato l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, figurarsi come uno che ha firmato cinque decreti per il sostegno a Kyjiv possa considerare la politica estera di Conte. Vista la mala parata, ieri Schlein ha chiamato i cronisti in Transatlantico per “attaccare”, tra virgolette, l’avvocato del popolo: «Non siamo disponibili ad accettare distanti mistificazioni e attacchi che mirano al bersaglio sbagliato».
È evidente che qui non si tratta di questa o quella battuta, ma di un problema di linea politica generale. Elly Schlein è convinta, non tanto sul base dei fatti concreti (che sono pochissimi) ma su un’idea politicista delle alleanze, che il rapporto con Conte sia vitale e che vada fatto di tutto per preservarlo, con uno spirito buddhista o zen che dir si voglia e con una convergenza sui temi specifici.
Ma qui c’è un doppio “bah”. Lasciamo stare gli stati d’animo – questa è politica, non una cena a due – ma accordi sulle questioni, a parte la campagna abbastanza sfortunata del salario minimo, non se ne sono visti. Né sulla sanità, né sulla casa, né sul fisco. Tantomeno sulla Rai, dove l’uomo di Volturara Appula ha sbeffeggiato i dem per il loro sit in sotto viale Mazzini del 7 febbraio. Della politica estera si è detto: lui è per Trump e Vladimir Putin, il Partito democratico per Biden e Volodymyr Zelensky.
Di che stiamo parlando, dunque? Ora è da vedere se la (timida) puntualizzazione della segretaria basterà a placare gli animi. È da prevedere che come al solito il caso si chiuderà qui. Per ora. Perché appare ormai evidente a tutti che con l’avvocato Conte bisogna aprire una fase diversa, scodinzolando di meno e competendo di più. Insomma, si tratta di dargli battaglia. È evidente a tutti, tranne che a Elly Schlein, mai così sola.