“Anatomia di una caduta” il film francese capolavoro

(21/2/24) La regista francese Justine Triet (1978) col suo compagno, l’attore Arthur Harari, durante la pandemia ha scritto questo film che nel 2023 ha vinto la Palma a Cannes e adesso vedremo quali Oscar vincerà. La trama è semplice, una donna (la magnifica Sandra Huller) è sospettata dell’omicidio del marito. Il loro figlio cieco dovrà affrontare un dilemma morale essendo l’unico testimone. Dico subito che il film appare un legal drama ma in realtà è uno di quei film sui matrimoni che da Bergman arriva sino a Baumbach. Il fatto è che in Italia un film come questo non potrebbe essere realizzato perchè il produttore dopo aver letto la sceneggiatura imporrebbe Margherità Buy come protagonista e non saprebbe dove collocare Pierfrancesco Favino. Voglio dire che tutta l’ambiguità di questo capolavoro, con una sceneggiatura perfetta e dialoghi meravigliosi, dove lo spettatore esce dalla sala senza sapere per nulla come sono andati realmente i fatti, è qualità che possono permettersi soltanto i cineasti francesi mentre il giustizialismo italiano pretende che la verità processuale s’imponga urbi et orbi sempre. Come sono andati i fatti, sembra suggerirci l’autrice, è meno importante del capire perchè sono andati in un certo modo e dunque processi e intercettazioni, prove e indizi, pubblico ministero (qui odioso) e difesa (qui simpatico), protagonisti e comprimari, tutto questo non ci consegna in maniera lampante la verità ma soltanto la verità processuale, che, come si sa, in Italia dove i processi si fanno prima sulla stampa e poi nei tribunali, è pure tardiva e pleonastica. Un film dunque dove l’incapacità di ogni individuo (uomo o donna che sia) di pensarsi come parte di una coppia viene suggerita, attraverso un continuo gioco di allusioni. La fotografia è mantenuta a livello del thriller processuale, ci si astiene da esibizioni autoriali che su una materia come la relatività del reale (il titolo cita Anatomia di un omicidio di O. Preminger, 1959) sarebbero state inutili complicazioni. Noi spettatori dunque siamo ciechi come il bambino, come lui possiamo solo sentire e tentare di ricordare, e come lui ad un certo punto dobbiamo decidere. Omicidio o suicidio? Difficile da stabilire, come dice lo stesso avvocato di Sandra “me ne frego della verità”, una storia è solo come si racconta. Dunque la versione migliore è quella in grado di convincere una giuria. Le perizie degli esperti di parte non a caso si annullano a vicenda, è evidente l’anaffettività della scrittrice di successo Sandra con quel suo gelo che sembra controllare tutto, solo i bellissimi occhi di Daniel, giovane non vedente, ci fanno capire che ad un certo punto ci (gli) tocca scegliere.