Istat ha aggiornato pochi giorni fa le stime sulla povertà in Italia, e chi qui scrive da anni continua a porsi gli stessi problemi. E’ ovvio che nella serie storica dell’andamento della povertà abbiano influenza forte fattori esogeni, negli anni in cui essi si manifestano colpendo sia la capacità di reddito di individui e famiglie sia il loro potere d’acquisto, com’è infatti puntualmente avvenuto negli anni del Covid e a seguire con il risveglio dell’inflazione, principalmente dovuto in Europa al picco dei prezzi energetici dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia tante domande centrali sono “domestiche”, relative a due fattori.
Il primo è il diverso metodo con cui rileviamo in Italia la povertà assoluta e quella relativa, mentre per l’esclusione sociale c’è da tempo uno standard statistico europeo fissato da Eurostat, il che rende davvero pienamente comparabili i dati della povertà in tutti i paesi dell’Unione. Da anni non sono un entusiasta delle rilevazioni sulla povertà assoluta, la cui soglia fino al 2023 era determinata sotto un livello minimo di fabbisogno per spese obbligate come cibo, casa, utenze d’acqua, riscaldamento ed elettricità, spese per libri scolastici. Solo dall’anno scorso si è cominciato a inquadrare il dato della povertà assoluta anche per regioni, e diverse caratteristiche dei comuni di residenza. Mi ha sempre convinto molto di più il criterio con cui si rileva la povertà relativa, calcolata tenendo conto della diversa composizione familiare e con soglie diversificate territorialmente, perché il costo della vita è abissalmente diverso nelle diverse parti d’Italia e una cifra standard comune nazionale di reddito non significa affatto poter vivere allo stesso modo a fronte di curve di costo tanto dissimili.
Il secondo fattore è rappresentato dal modo scombiccherato seguito dalla politica per decidere gli interventi di spesa pubblica sociale destinata all’assistenza. Infine, c’è un punto specifico sul quale da anni non riesco a darmi risposta. La letteratura sui gap socioeconomici, infrastrutturali e di formazione al sud è sterminata. Ma come mai l’aumento da anni sempre più significativo di povertà nel nord Italia non ha trovato sin qui analoga dignità e attenzione? Come mai, in particolare la Lega che nacque come movimento politico esplicitamente a tutela delle ragioni del nord, continua a ignorare un dato tanto eclatante?
In un decennio il numero di famiglie in povertà assoluta è raddoppiato al nord, da 506 mila stimate nel 2014 a oltre un milione nel 2023. Nel 2014 erano un terzo del totale nazionale, ora sono quasi la metà. Nel 2014 al nord le famiglie povere erano il 4,2 per cento e al sud il 9,6 per cento, nel 2023 è in povertà assoluta l’8 per cento delle famiglie residenti al nord, al sud la percentuale in dieci anni è salita solo dal 9,6 per cento al 10,3 per cento.
Come è possibile un fenomeno così rilevante in aree del paese che, se leggiamo in vece sotto il profilo dell’intensità industriale, degli investimenti e dell’apporto all’export e al surplus manifatturiero, restano invece trainanti per l’intera Italia? Le sempre più estese sacche di povertà al nord non sono state intercettate dal Reddito di Cittadinanza, proprio perché esso era attribuito in base a una cifra standard nazionale di reddito per poterne beneficiare, invece che su quantificazioni di reddito diverse a seconda del diverso costo della vita. Con il risultato ovvio che chi aveva un reddito superiore allo standard nazionale, ma comunque tale da metterlo in povertà rispetto ai costi del nord in cui viveva, non aveva diritto di beneficiare del sussidio. Anche il superamento del Reddito di Cittadinanza con l’Assegno Unico non ha risolto il problema statistico. E il problema non è solo questo. Siamo indietrissimo nel costruire un’unica banca dati nazionali che renda trasparente quanto a fini di assistenza spenda per ciascuno dei diversi beneficiari ogni diversa articolazione dello stato, centrale e locale. Cosa che rende agevole nascondere truffe e lavoro in nero. Conta che al nord si addensino più immigrati, il cui inferiore reddito da lavoro li rende molto più esposti alla povertà. E conta tantissimo che dovunque, al nord come al sud, la povertà sia figlia della totalmente inadeguata formazione offerta ai componenti dei nuclei familiari. Un coacervo di problemi che spiega come negli anni di Salvini siamo riusciti a raddoppiare la quota di spesa assistenziale finanziata dalla fiscalità generale e non da contributi, riuscendo insieme a raddoppiare i poveri al nord. Vecchi leghisti di un tempo, dove siete?