I meriti di Eugenio Scalfari sino al 1996, poi ce ne sarebbe voluto un altro

Eugenio Scalfari (1924-2022) fondò Repubblica nel 1976 e lasciò la direzione nel 1996 a 72 anni. Era l’anno dell’Ulivo, del primo governo Prodi, quello che cadde dopo 2 anni e mezzo perchè Rifondazione comunista fece venire meno l’appoggio esterno. L’estremismo malattia infantile.

Per uno come me che ha comprato e letto quel giornale in quel periodo, è evidente il merito storico di Scalfari: aver traghettato il pci di Berlinguer sulle sue sponde, che erano quelle di un socialista liberale, o, se volete, di un liberale di sinistra. In altre parole e per essere più chiari, i comunisti ritenevano i “socialdemocratici” (da Turati sino a Saragat e Cariglia) dei poco di buono, poco meno che dei traditori della causa. Poi arrivò Scalfari in Italia e con un giornale (anzi due, perchè anche l’Espresso ha fatto la sua parte) è riuscito in una impresa culturale prodigiosa facendo capire che fuori dell’Italia c’erano esperienze socialdemocratiche avanzatissime alle quali si doveva guardare (altro che l’Urss), che Olof Palme e Helmut Schmidt erano due statisti insigni, che non si poteva continuare nella rendita di posizione dell’opposizione mischiata con il consociativismo. Che la sinistra doveva essere una forza di governo per perseguire giustizia e libertà, per attuare la Costituzione e far crescere il benessere, ma senza scassare i conti dello stato. Che cosa è stato il rapporto esclusivo di Scalfari con il governatore Guido Carli se non il simbolo di un’attenzione rigorosa ai numeri e alle compatibilità di una economia di mercato? Scalfari fu quello (e pensate subito alla stretta attualità di oggi, alla Finlandia e alla Svezia) che convinse Berlinguer che si sta meglio sotto l’ombrello Nato piuttosto che predicando la via italiana al socialismo o terze vie.

Dal 1996 la lezione di Scalfari prima si è interrotta e poi è stata vanificata, lui ha continuato a scrivere ma l’età non gli ha consentito più di rinnovare il suo ruolo, di continuare il suo compito. I suoi successori, a cominciare da Ezio Mauro, si sono intruppati dentro la difesa ad oltranza della Ditta, e in men che non si dica siamo arrivati ad oggi, a Bersani che viene portato nelle piazze e in tv come la madonna pellegrina che detta la linea, la supercazzola Schlein che rincorre “graduidamende” Giuseppi (al quale tra poco torna Trump), le università che rompono con Israele, l’antisemitismo che si mischia con l’antiatlantismo e i pacifinti che ci invitano a non demonizzare Putin. Insomma, Scalfari è stato un precursore che ha accompagnato il pci lungo la strada del riformismo liberalsocialista, ma poi non è stato sostituito da nessuno che completasse l’opera. Anzi, senza di lui, c’è stato un rinculo, una inversione ad u, si è tornato a pensare che la sinistra dovesse ri-fare la sinistra della prima repubblica, cioè opposizione, diritti civili, tasse e spesa pubblica, industria di stato. Certo, quando c’è l’emergenza e un capo dello Stato chiama, allora va bene l’unità nazionale e l’austerità, ma dopo si ritorna al tana liberi tutti.

Con Matteo Renzi premier il debito pubblico superava di poco i 2100 miliardi di euro. Dieci anni dopo ha raggiunto quasi i 2900 miliardi. Ecco cosa combina il bipopulismo. Se Scalfari avesse avuto oggi 60 anni qualcuno pensa che avrebbe appoggiato questi scappati di casa che hanno cominciato a sperperare denaro pubblico (a debito) con bonus vari? Che non avrebbe combattuto tutti questi pacifinti che stanno con l’Urss e non con gli Usa, con Hamas e non con Israele? Insomma, la memoria è davvero corta se Eugenio Scalfari, il quale ha il merito storico di averci fatto capire l’importanza dei conti pubblici, di una chiara fedeltà alle alleanze occidentali, di un riformismo che si nutre di programmazione (il terreno di Giorgio Ruffolo), oggi venisse immaginato come un aficionados del pd che stiamo vedendo, in versione assemblea studentesca che occupa l’università. Nel ’68 tutti i baroni universitari si ritirarono sull’aventino aspettando che l’ondata passasse, oggi invece scrivono sotto dettatura. E in giro non c’è più la stampa democratica di Eugenio Scalfari ma l’uno vale uno dei social. Di Scalfari ce ne sarebbero voluti due