Cassese/Tanti problemi e pochi investimenti: ecco come sta la nostra sanità

Dal profilo della sanità italiana emergono però almeno tre punti critici importanti. In primo luogo, la spesa sanitaria in Italia è quasi di un terzo più bassa della media della spesa sanitaria dei paesi dell’Unione europea. In secondo luogo, la spesa diretta, come parte di quella complessiva, in Italia rappresenta il 22 per cento, nell’Unione europea il 15 per cento della spesa sanitaria totale. In terzo luogo, ben sette regioni italiane non garantiscono la copertura completa dei livelli essenziali di assistenza.

Bisogna quindi che, a quasi cinquant’anni di vita, il Servizio sanitario nazionale venga corretto per assicurare piena funzionalità del servizio. Il primo punto debole, da correggere, è l’organizzazione della rete nella parte più vicina ai cittadini, quella che riguarda i cosiddetti medici di famiglia. Qui la rete presenta buchi. Per questo l’assistenza sanitaria a livello distrettuale e domiciliare richiede quella revisione che è stata già avviata con le case di comunità. Inoltre, in questo modo si può sviluppare il lato che è rimasto in secondo piano, quello della prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

La seconda correzione riguarda la cooperazione tra gli enti che guidano il Servizio, le regioni. Come dimostrato dalle precedenti esperienze, ma in particolare dal modo in cui è stata fronteggiata la pandemia del 2020, il Servizio sanitario nazionale ha operato più come una confederazione di servizi sanitari regionali che come un vero organismo nazionale. Ha perduto quella coralità per assicurare la quale era stato disegnato. A questo occorre porre rimedio, anche perché il Servizio sanitario nazionale non può far rivivere l’Italia dei campanili, che fa resistenza a una distribuzione più razionale del servizio in relazione ai bisogni della popolazione (un esempio sono gli ospedali troppo vicini l’uno all’altro, in alcune regioni).

Il terzo intervento riguarda i divari e le diseguaglianze che essi producono. I dati sui ricoveri ospedalieri in altre regioni e i saldi negativi sono noti e costituiscono un grave tradimento di due articoli della legge del 1978, quello che prevede “il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio sanitarie del Paese” e quello che prevede “uniformità delle condizioni di salute sul territorio nazionale”.

Il quarto problema da affrontare è quello – già menzionato – delle risorse, che negli ultimi decenni sono andate riducendosi e hanno finito per incidere sui livelli retributivi del personale addetto alla sanità, costringendo anche una parte della popolazione ad affrontare le cure con proprie risorse. La spesa sanitaria, per circa tre quarti finanziata con fondi pubblici, è – come notato – al di sotto della media europea. Un finanziamento pluriennale, garantito come una quota del Prodotto interno lordo, assicurerebbe in permanenza il corretto funzionamento del Servizio.

Quinto: la sanità è il settore nel quale si concentrano le maggiori risorse delle regioni, sia finanziarie, sia di personale. Ha quindi attirato un forte interesse che una volta si sarebbe chiamato clientelare, con la conseguenza di far passare in secondo piano il principio del merito e dell’accesso ai pubblici uffici mediante concorso. Il “political patronage” nel settore sanitario va abbandonato, in favore del “merit system”. Questo è tanto più importante in quanto la forza lavoro medica in Italia è una delle più anziane in Europa e la densità dei medici di medicina generale varia fortemente da regione e regione. Ne discende che è necessaria una consistente politica di assunzioni, che va fatta ricorrendo a concorsi aperti a tutti e imparziali.

Sesto: la struttura a rete del Servizio, proprio perché fortemente decentrata, richiede un centro, non per comandare o dirigere, ma per guidare e monitorare, per assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, una promessa finora non mantenuta (sette regioni non riescono a garantire la loro copertura completa), per indicare le “best practices”, per accumulare e mettere in comune i patrimoni di conoscenze locali, per segnalare i divari territoriali (ad esempio vi è un forte divario dell’Italia rispetto all’Unione europea per l’assistenza residenziale e semiresidenziale), per coltivare e diffondere una cultura dell’organizzazione sanitaria di cui c’è grande bisogno, per promuovere l’innovazione e seguirne l’attuazione.