I conti opachi di Giorgetti sul Superbonus

C’è poca chiarezza nel Def appena approvato dal governo. Ma non riguarda tanto il futuro, come contestato dalle opposizioni per l’assenza del quadro programmatico per i prossimi anni. Bensì il passato, ovvero una spiegazione precisa ed esaustiva di cosa è accaduto lo scorso anno, con il deficit 2023 che è esploso inopinatamente di quasi 2 punti di pil a causa del Superbonus.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per gran parte della conferenza stampa sul Def, ha parlato dei costi dei bonus edilizi, della spesa oltre ogni previsione e dell’impatto “devastante” del Superbonus sui conti pubblici, che inevitabilmente condizionerà la politica economica del governo riducendone i margini di manovra. Per evidenti motivi, esattamente quelli che hanno spinto Giorgetti a parlarne così intensamente, un chiarimento sulla questione era la cosa più attesa del Def.

E invece, nel documento il governo non ne parla quasi. La scoperta ex post di un aumento di quasi 40 miliardi della spesa per il bonus al 110 per cento viene trattato come un mero passaggio formale, quasi come un accidente, su cui c’è poco da spiegare. Ma in realtà è successo che, in maniera del tutto inattesa per il Mef, il deficit del 2023 è passato dal 5,3% previsto nella Nadef e nel Documento programmatico di Bilancio (Dpb) al 7,2% certificato dall’Istat a marzo. E questo extradeficit ha comportato che il debito pubblico anziché essere stabilizzato, come prevedeva il Dpb consegnato a Bruxelles, sarà crescente nel prossimo triennio (+2,5 punti di pil fino al 2026).

Un quadro della finanza pubblica stravolto. E il governo come affronta questo sconvolgimento? Con poche battute. “Le stime provvisorie diffuse dall’Istat il 5 aprile collocano il rapporto tra l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e il pil del 2023 al 7,2%, un livello superiore di 1,9 punti percentuali rispetto all’obiettivo programmatico fissato nella Nadef 2023. Il peggioramento rispetto alla previsione del settembre scorso è completamente ascrivibile a fattori inattesi e di carattere non strutturale. In particolare, l’Istat ha accertato maggiori oneri rispetto a quanto allora stimato per il Superbonus”.

In pratica, il governo prende burocraticamente atto che l’Istat a marzo, e poi il 5 aprile, ha rilevato che il disavanzo è di 1,9 punti di pil superiore al previsto (a causa di un pari aumento della spesa per il Superbonus). Ma non si sente in dovere di comunicare ai cittadini, ai contribuenti e ai mercati cos’è successo di preciso. Perché la gestione dei crediti fiscali edilizi è andata completamente fuori controllo. Di dire come sulla questione incide il decreto d’urgenza sul Superbonus che il governo ha approvato due settimane fa e se sarà sufficiente ad arrestare questa emorragia fiscale. Né quanto, in questi anni, sono costati complessivamente i crediti d’imposta per l’edilizia e, nello specifico, ogni singolo bonus in ognuno dei tre anni nel periodo 2021-23.

Il governo avrebbe dovuto affrontare la questione in maniera dettagliata. Non è sufficiente prendere atto delle “stime provvisorie diffuse dall’Istat il 5 aprile”, perché in generale il Mef dovrebbe saperne di più sul bilancio statale dell’Istat e, nello specifico, perché proprio il 4 aprile si è chiusa la finestra temporale per caricare i crediti del Superbonus sulla piattaforma dell’Agenzia delle entrate.

Quindi è evidente che il Mef ne sappia di più dell’Istat, che quando ha diffuso le sue ultime stime non aveva dati così aggiornati. Il 22 aprile l’Istat nella procedura di clarification dovrà notificare ad Eurostat i dati ufficiali del deficit 2023, che diventeranno quelli ufficiali per l’Unione europea. Non è ancora chiaro se le stime dell’Istat pre-5 aprile coincidano con i dati post-5 aprile in possesso dal Mef (219 miliardi di bonus edilizi, di cui 160 miliardi di Superbonus). Questo avrebbe dovuto precisarlo il governo in una sezione specifica.

D’altronde era ciò che aveva fatto nella Nadef 2023, che conteneva un focus dal titolo “Superbonus 110: revisione dell’impatto sulle finanze pubbliche”. Allora se ne sentì la necessità perché le stime sul Superbonus vennero viste al rialzo di 1,1 punti di pil rispetto alle previsioni del Def. Paradossalmente, ora che quelle stime al rialzo di 1,1 punti si sono rivelate più basse di altri 1,9 punti di pil (40 miliardi) il governo non si sente in dovere di affrontare la questione.

Ci sono due spiegazioni possibili per questa scelta, entrambe poco confortanti. La prima è che il Mef sappia molte cose che non vuole dire, la seconda è che non voglia dire niente perché ancora non sa molte cose. Non si sa quale delle due sia peggiore.