Medico di famiglia, tutto quello che non funziona. Ecco cosa deve cambiare

Thomas Edison, uno dei più grandi inventori di tutti i tempi, diceva che il medico del futuro non darà medicine ma motiverà i suoi pazienti ad avere cura del proprio corpo e a prevenire le malattie. Un secolo dopo quel tipo di medico che ha il tempo di ascoltare i propri pazienti ancora non si è visto. Ai pazienti basterebbe riuscire ad avere almeno un’assistenza degna di questo nome dal proprio medico di medicina generale, che è il primo contatto quando hanno un problema di salute. Il Sistema sanitario è messo a dura prova da finanziamenti insufficienti, con carenza di specialisti ospedalieri dove servono, e liste d’attesa che spingono i cittadini a pagare di tasca propria almeno 4 visite e 2 esami diagnostici su 10. E chi non può permetterselo troppo spesso rinuncia a curarsi. In questo contesto la figura del medico di famiglia è un punto di riferimento imprescindibile, ma sono pochi, non valorizzati nel loro ruolo e non adeguatamente formati per rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana e con malattie croniche. La medicina di famiglia va ridisegnata e, oggi, c’è l’occasione buona perché dopo 50 anni siamo di fronte al più grande ricambio generazionale.

Chi entra e chi esce
Nei prossimi sei anni, su 37.860 medici di famiglia in servizio, 12.600 andranno in pensione. Cioè uno su 3. Nello stesso periodo la stima è che ne entreranno 10.714. Vuol dire che gli ingressi non copriranno le uscite, e già adesso ogni medico di medicina generale (mmg) ha in carico 1.399 pazienti contro i 1.171 di 10 anni fa (qui 10b3). È il caso di cominciare a pensarci adesso per investire su una professione che è il primo filtro all’intasamento dei pronto soccorso, e che da anni è colpevolmente relegata alla serie B. Cosa fare? Vediamolo punto per punto seguendoli nella loro carriera: dal quando iniziano a studiare Medicina, a quando vanno a lavorare nel loro ambulatorio.

Professione senza appeal
Per prima cosa i giovani laureandi andrebbero invogliati a diventare medici di famiglia, cosa che oggi non succede: il 78% degli studenti in Medicina durante i 6 anni di università non ha neppure l’opportunità di conoscere l’attività del dottore di medicina generale perché gli atenei non prevedono lezioni o tirocini mirati né la presenza degli mmg ai corsi. Una volta terminati gli studi universitari, vanno eliminate le differenze economiche tra chi frequenta il corso triennale di formazione per diventare medico di famiglia e chi una Scuola di specializzazione per diventare chirurgo, cardiologo, ortopedico, ecc. Il corso per mmg, che non è universitario ma dipende dalle Regioni, è pagato con una borsa di studio di 11 mila euro l’anno, cioè 966 euro al mese, soggetti a Irpef, con contributi a carico di chi lo frequenta e nessun assegno in caso di maternità. Ben diversa è la situazione degli specializzandi ospedalieri che hanno una borsa di studio di 26 mila euro l’anno, contributi inclusi e senza Irpef. Già questo indica a monte la scarsa considerazione per il medico di base. La conseguenza è che i neolaureati in Medicina se hanno un’alternativa di solito la preferiscono: i numeri dimostrano che più aumenta il numero di posti nelle scuole di specializzazione, meno candidati ci sono al corso di formazione triennale per diventare medico di medicina generale. Infatti se nel 2019 con 1.765 borse di studio c’erano 4 candidati per ogni posto disponibile, nel 2023 con 2.596 posti ben 10 Regioni (come Lombardia, Piemonte, Veneto e Toscana) non sono riuscite a coprire tutte le borse di studio e 347 sono andate a vuoto.

Il corso di formazione
Cosa succede quando i giovani medici arrivano al corso triennale di formazione? Il programma delle attività è regolato da norme di 18 anni fa (d.m. 7 marzo 2006 qui) che nelle 1.600 ore di teoria non prevede informazioni aggiornate con i tempi: dal lavoro nelle Case di Comunità finanziate dal Pnrr, all’uso di apparecchiature per gli esami di primo livello (spirometri, Ecg, ecografi), ecc. Dal 2018 gli mmg in formazione possono lavorare in ambulatorio con propri pazienti (qui art. 9), e dal 2020 per le 3.200 ore di formazione pratica vengono fatte valere le ore di lavoro in ambulatorio senza di fatto nessun tutor (qui). È un paradosso perché nella sostanza è come ammettere che il corso serve a poco. La soluzione può essere quella di trasformare la formazione del medico di famiglia in una vera e propria specialità, sull’esempio delle scuole di «Family medicine» europee. Questo, con ogni probabilità, alzerebbe il livello della professione rendendola più attrattiva per i laureati migliori, e verrebbe sottratta anche al controllo delle lobby dei potenti sindacati dei medici che, oggi, gestiscono le scuole di formazione ed hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo (vedi Dataroom del settembre 2022).

Le prestazioni offerte
Quando poi il medico di famiglia entra nel proprio ambulatorio deve essere messo in grado di offrire ai pazienti prestazioni in linea con i bisogni crescenti. Prendiamo come esempio un paziente con una patologia cronica cardiovascolare. Oggi va dal medico di famiglia che gli fa un’impegnativa per una visita cardiologica e un elettrocardiogramma. Il paziente deve quindi andare al Cup per fare la prenotazione, perdendo tempo in lista d’attesa. Se invece il medico avesse un elettrocardiografo e fosse formato a usarlo, potrebbe monitorarlo direttamente e inviarlo dallo specialista solo in caso di criticità. Un paziente con sospetto di colica renale oggi viene visitato e il medico di famiglia può prescrivergli un antidolorifico e mandarlo a fare un’ecografia. Se invece avesse a disposizione un ecografo potrebbe valutare se c’è la presenza di un calcolo e avviare una terapia. Il 28 gennaio 2020 sono stati stanziati 235 milioni di euro per fornire agli mmg gli strumenti per gli esami di primo livello (qui), ma non è ancora è stato acquistato nulla. Probabilmente anche per la resistenza dei più anziani che sostengono di non saperli usare, mentre il 70% dei giovani medici ritiene importante potere eseguire questi esami.

Il rapporto con il Servizio sanitario nazionale
Arriviamo infine alla domanda delle domande: in che rapporto devono essere i medici di famiglia con il servizio sanitario? Da anni sono dei liberi professionisti convenzionati con il Ssn e la loro attività è regolata da un contratto firmato dai sindacati, ma una parte importante dei giovani chiede di diventare dipendente. Infatti c’è una levata di scudi mai vista prima contro il nuovo accordo collettivo nazionale dell’8 febbraio 2024. Il motivo è che in base alle nuove regole chi ha meno di 400 pazienti, dunque la stragrande maggioranza dei giovani medici di famiglia, è chiamato a mettere a disposizione dell’Asl 38 ore la settimana per fare la guardia medica o attività simili contro le 6 ore di chi ha 1.500 pazienti, cioè i più anziani. I giovani sono convinti che si troveranno con tutti gli svantaggi della libera professione (trovarsi un sostituto e pagarlo in caso di malattia o vacanza) e anche quelli della dipendenza (non hai più modo di gestire il tuo tempo perché sei obbligato a fare quello che dice l’Asl, con un tot di ore come guardia medica). A questo punto una parte di loro chiede di rendere la professione dipendente al 100%, con tutte le garanzie che ciò comporta (malattie e ferie coperte, ecc..). La Fimmg che rappresenta il 62,8% dei dottori di famiglia iscritti a un sindacato è contraria, come non vede di buon occhio l’ingresso nelle Case di Comunità. Lo status quo consente agli mmg, di continuare a fare anche lavori fuori dagli ambulatori e quindi di guadagnare di più. I giovani invece sono la forza-lavoro che potrebbe andare a lavorarci, a patto che la politica sia in grado di coinvolgerli. Negli ultimi decenni questa professione si è sfilacciata, l’assistenza sul territorio impoverita, la domanda è in crescita esponenziale, la tecnologia ha fatto passi avanti: per tutte queste ragioni l’approccio va modificato. E il momento è propizio, proprio perché siamo di fronte a un travaso generazionale.