Affari tuoi in tv/ La superstizione degli italiani per i numeri

Affari tuoi è il preserale di Amadeus da 5 milioni di spettatori che ogni sera compresa la domenica richiama gli italiani. Gioco soltanto basato sulla fortuna, ci sono 20 pacchi chiusi assegnati a 20 concorrenti in rappresentanza delle regioni. Ogni sera uno di loro viene sorteggiato e gioca, cioe’ apre un pacco alla volta chiamando il relativo numero: Toscana, si apre il pacco e si vede quanto contiene. 10 pacchi sono blu e contengono piccole somme, 10 sono rossi e contengono somme elevate sino a 300mila euro in gettoni d’oro (nel cambio ci si perde almeno il 20%). L’unico che conosce quanto contiene ogni pacco compreso quello del giocatore e’ l’invisibile “dottore”, che poi si chiama Romano ed è professore di filosofia. Lui ti può offrire il cambio del pacco oppure ti fa un’offerta e se l’accetti puoi andare a casa.

Ma la cosa sociologicamente interessante di questa trasmissione resta, da una parte il reality a cui sono sottoposti i concorrenti, e dall’altra la scelta superstiziosa dei numeri da chiamare. Affari tuoi cerca di essere un reality perchè ogni concorrente e’ invitato a spiegare il suo privato, i suoi desideri, i suoi drammi. Ma poi convivendo insieme per diversi giorni nello stesso albergo si creano tra loro rapporti amicali, per cui al dunque Tizio chiama il numero di Caio perchè con-fida in lui. Il giocatore sorteggiato si porta un compagno, moglie, fidanzato, figlio che sia, e il gioco più interessante da fare a casa è capire i rapporti di coppia dove uno dei due comanda e schiavizza l’altro. Infine c’è la giostra dei numeri. Come scegliere quelli da chiamare? Ecco, l’Italia no-vax, complottista, antiscientifica, oscurantista, si fa avanti insieme con la presunzione dei “sottuttoio”.

Ci sono i numeri sognati, quelli consigliati da nonni e fattucchiere, e quelli “previsti”. Se il pacco della Calabria per due giorni di seguito conteneva 300mila, oggi la chiamo per il calcolo delle probabilità sperando che abbia un pacco blu. Detto fatto, solo che oggi, dopo due giorni in cui ha scovato 300mila, ha un rosso da 200mila! In un gioco, cosi’ come per l’estrazione del lotto e la roulette, in cui tutto dipende dal caso e anche i record riguardanti un numero sono destinati prima o poi ad essere battuti, c’è chi si ostina a pre-vedere. Sono rimasti tre pacchi, con 200mila, 100mila e 5 euro. Quale avrà il giocatore e soprattutto deve o non deve accettare, mettiamo, l’offerta del dottore di 48mila euro? Il giocatore fa i calcoli: ho il 66% di possibilità di portare a casa molto più di quello che il dottore mi offre, dunque non accetto. Oppure, io ho il 5 che è la data di nascita di mio nonno che mi voleva tanto bene, e punto tutto su questo numero.

Qui viene in soccorso tutta l’antiscientificità degli italiani che saremo santi, poeti e navigatori, ma della scienza non sappiamo che farcene. Legare un numero a qualcosa è operazione infatti che a posteriori può esser fatta per qualsiasi numero. Ognuno dei venti numeri da 1 a 20 può esser legato a una data personale, ma il significato glielo attribuiamo noi: l’1 è nato mio padre, il 2 ho conosciuto mia moglie, il 3 è morta nonna, il 4 mi sono laureato, il 5 mi hanno chiamato per la trasmissione…Come si vede, un numero vale l’altro, tutti possono essere legati a qualcosa e dunque a niente. Inoltre sono per natura ambigui: se il 3 è morta mia nonna, questo numero mi dara’ una cifra alta o bassa, cioè porta fortuna o sfortuna?

Infine c’è la domanda del “rimpianto” che è la seguente. Se tu accetti 48mila e nel pacco poi trovi 100mila, il rimpianto sarà maggiore di quello se non accetti l’offerta del dottore (48mila) e vai a casa con 5 euro? Qui si apre tutto il discorso del nostro rapporto con il fallimenti. La prima cosa da tenere a mente e capire è questa: ricordiamo le cose negative che ci accadono più vividamente e più a lungo di quelle positive. Cioe’ prestiamo maggiore attenzione ai feedback negativi che a quelli positivi. In secondo luogo soffriamo anche di quella che il celebre psicologo Daniel Kahneman ha definito «avversione alla perdita», ovvero la tendenza a sopravvalutare le perdite (di denaro, di beni o persino di status sociale) rispetto ai guadagni di pari entità. Ciò che resta irrazionale, ma anche profondamente umano è il fatto che non vogliamo perdere, non vogliamo fallire. Il dolore che il fallimento porta con sé, anche in attività basilari, o in un semplice gioco tv, è emotivamente più saliente del piacere di riuscire.

Mi spiego meglio: la paura più grande di ogni concorrente che gioca ad Affari tuoi è la seguente: cosa diranno i miei amici e la gente se torno a casa e non porto niente? Mi considereranno un fallito. Eppure tutti sappiamo che chi non risica non rosica. No, agli italiani piace solo: meglio un uovo oggi che una gallina domani. E’ più conveniente contentarsi del poco certo dell’oggi senza correre rischi. Pochi maledetti e subito.