Il Pd si presenta alle elezioni europee contro il nuovo Patto di Stabilita’ e con candidati (addirittura capolista) contrari agli aiuti militari all’Ucraina. In pratica, contro la linea dell’Unione Europea e del Pse su due punti cruciali di politica economica, estera e di difesa.
Ricordo l’intervento dell’allora deputato del PCI Giorgio Napolitano in occasione dell’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo. Era il 13 dicembre 1978 e Napolitano, intervenendo a nome del gruppo comunista, illustrava la contrarietà del PCI al sistema dal quale sarebbe poi nata la moneta unica con argomentazioni largamente coincidenti con quelle di quanti, oggi come allora, ritengono l’Euro una costruzione intrinsecamente insostenibile. Proprio Napolitano che da capo dello Stato sarebbe stato convintamente europeista, il 13 dicembre 1978 pronunciava un discorso che oggi coincide con quello degli euroscettici. Cosa voglio dire con questo ricordo storico?
Voglio dire che tutte le volte in cui il Pci si e’ allontanato dalle altre forze socialiste europee per scegliere una forma di collocazione eurocomunista, si e’ ritrovato in un limbo, come successe ad Enrico Berlinguer che ruppe la solidarietà nazionale anche votando contro il Sistema monetario europeo, antenato dell’euro, e contro gli euromissili in dissenso da François Mitterrand e Helmut Schmidt. La spasmodica ricerca di una terza via anche quando la rottura con Mosca era avvenuta e finalmente si era capito che si stava meglio sotto l’ombrello della Nato ha caratterizzato la stagione berlingueriana che dunque, ai miei occhi, fa specie quando Schlein la riprende e ripropone nel 2024 con l’astensione del Partito democratico sul Patto di stabilità al quale aveva lavorato Gentiloni. È vero, l’astensione sul nuovo Patto di stabilità è politicamente da leggersi come un voto contrario (come al solito l’astensione è molto comoda per salvare capra e cavoli, lo ha notato Luigi Zanda) perché questo era ed è l’orientamento di Elly Schlein e dei suoi sostenitori. Per non farsi scavalcare a sinistra (mai nemici a sinistra) dal M5S e da Bonelli e Fratoianni Schlein indossa i panni di una sinistra più pura schierata contro «l’austerità» e «i tagli alla spesa sociale», slogan che suonano bene e sicuramente portano più voti degli appelli a non aumentare ancora il deficit pubblico, a attuare politiche per la crescita e la produttività, a essere seri in fatto di spesa pubblica, come se far saltare i conti non negasse in radice la possibilità di aumentare la spesa sociale.
Il fatto e’ che la posizione di chi vuole tenere a bada i debiti nazionali non è né di destra né di sinistra, ma è connessa all’esigenza di fare debito europeo, molto più efficace e razionale in varie policy, e per questo è anche la posizione del Partito del socialismo europeo oltre che di Gentiloni.
MARIO LAVIA La segretaria teme la competizione elettorale con Conte e Fratoianni, e sceglie quel limbo eurocomunista in cui si era già trovato Enrico Berlinguer tempo fa. Auguri!
Fassina, già esponente del Partito democratico ma da tempo su posizioni di sinistra radicale, se lo chiede gongolando, sperando che, sì, il Partito democratico stia davvero svoltando a sinistra, per usare un’espressione comune.
E dunque abbiamo un Partito democratico che non ha esitato a sconfessare il lavoro di Paolo Gentiloni pur di mettere agli atti «il cambio di stagione», come lo definisce Fassina,
Il sospetto insomma è che il partito di Elly Schlein non voglia farsi scavalcare da Giuseppe Conte – artefice della spesa facile volta a pescare voti – dalla sinistra di Nicola Fratoianni, di cui teme la concorrenza elettorale a causa di candidature insidiose, da Ilaria Salis a Mimmo Lucano, e da Maurizio Landini, che, se come segretario della Cgil non ottiene mai nulla, come potenziale leader di partito è sempre lì in panchina pronto a entrare.
Però non ci sono solo motivazioni tattiche dietro lo spostamento a sinistra del Partito democratico. Intanto c’è da dire che la segretaria ha bisogno come il pane di rinsaldare il rapporto con una sinistra interna sempre più insofferente verso di lei (lo si è visto nella tragicommedia del nome della leader nel logo); e soprattutto pensiamo sempre che Elly Schlein è questa roba qui: attenzione al sociale (e ci mancherebbe) anche calpestando il buongoverno dell’economia, è la sinistra che considera le regole come un impaccio se non addirittura come una macchinazione del capitalismo.
Si avverte questo tic dietro i discorsi di Schlein, Andrea Orlando, Peppe Provenzano, Gianni Cuperlo, lo stesso Pier Luigi Bersani che pure ben conosce i limiti del rivendicazionismo senza regole. Parallelamente viene avanti una evidente contraddizione sulla questione dell’Ucraina. Sulla quale la fermezza della linea, se fosse autentica, non dovrebbe prevedere, anche dal punto di vista della mera logica, la presenza nelle liste di Marco Tarquinio, ottima persona che però – lo ha detto lui stesso – a Bruxelles non voterà mai a favore degli aiuti militari a Kyjiv.
L’argomento per cui il Partito democratico è un grande partito con una molteplicità di voci in questi casi è pura retorica: un elettore che voti Partito democratico anche non dando la preferenza a Tarquinio manderà all’Europarlamento un deputato che sulla questione più importante di questa fase voterà come Conte o Fratoianni. Non ha senso. A meno che – ecco il sospetto – il partito di Elly Schlein non voglia cambiare linea portandosi avanti col lavoro grazie a una candidatura come quella dell’ex direttore di Avvenire.
Se si sommano le due possibili discontinuità, sul debito nazionale e sull’Ucraina – se cioè si sceglie Fassina invece di Gentiloni e il cattoneutralismo di Tarquinio invece della tradizione degasperiana del cattolicesimo democratico – Schlein si troverebbe non solo fuori dell’ispirazione originaria del Partito democratico ma anche da quella del Pse.
Oltre la sinistra c’è solo la destra, scriveva un tempo Massimo D’Alema: ma in realtà oltre la nuova sinistra ci può anche essere la vecchia sinistra.