Su Lamezia informa e’ stata riprodotta (a cura del Centro di Documentazione e Studi su Lamezia e il Comprensorio Lametino) una scheda delle elezioni comunali di Nicastro del 31 marzo 1946, “le prime elezioni libere del Dopoguerra, nonché le prime in cui le donne poterono votare e candidarsi. Cinque le liste in campo: Democrazia Cristiana e Partito Repubblicano, Socialisti e Comunisti, due liste civiche (definite “Torre” e “Gregna” sulla stampa dell’epoca) e infine il Fronte dell’uomo qualunque, che in seguito ritirò la propria lista per appoggiare la DC.
Le elezioni furono vinte dalla coalizione DC-PRI che con circa 140 mila voti conquistò 24 seggi su 30, seguita da PCI-PSI con 104 mila voti. Va ricordato che ogni elettore poteva esprimere fino ad un massimo di 24 preferenze: un numero che oggi può apparire “esagerato” ma che ci dà la misura del desiderio di democrazia dopo un ventennio di regime fascista.
Fu eletto sindaco Giuseppe Cuiuli della DC, che prese il posto del socialista Eugenio Greco, a cui erano state affidate le responsabilità amministrative nel delicato momento di transizione seguito all’8 settembre 1943. Il primo sindaco fu dunque il mio medico di famiglia, e vorrei ricordarlo con tutta la nostalgia che ci prende quando i ricordi lontani ci lasciano solo le cose belle perche’ le cose tristi e’ inevitabile tendono a sfumare nel cerchio della vita. Il dott. Cuiuli per me bambino era semplicemente uno zio, perche’ la sua famiglia composta dalla moglie Teresa e dal figlio Vittorio, che poi ha lavorato in ospedale sino al pensionamento, era amica della mia. Tante foto che ho ancora in casa testimoniano di questa familiarita’ perche’ hanno immortalato qualche uscita domenicale in gruppo verso la Sila o altri posti belli. Solo che questo amico di famiglia si appalesava come dottore quando mi veniva la febbre, almeno una volta l’anno, e diventava per me un cruccio. Arrivava a casa e mi sottoponeva ad una visita scrupolosa che durava una eternita’. Poi indicava a mia madre quello che dovevo prendere, poche medicine, erano gli anni sessanta, tante pastine odiose e semolini e frutta cotta, e si sedeva per consumare un caffe’. Alle mie domande su quanti giorni sarei mancato da scuola rispondeva in maniera che oggi avrei definito democristiana, ovvero con circonlocuzioni che definivano un’attesa indefinita di un evento, la guarigione, che nessuno, tantomeno lui poteva prevedere quando sarebbe intervenuta. Il mio disappunto anzi il mio nervosismo fin quando c’era la febbre diventava rassegnazione, ma era quando la febbre non c’era piu’ che cominciava la mia lunga estenuante attesa del responso finale del dott. Cuiuli: alzati e cammina. Allora la medicina ufficiale usava contemplare per una semplice influenza il periodo di riposo a letto per debellare la febbre e poi la cd convalescenza sempre a letto da sfebbrati, per evitare pericolose ricadute. Non te la cavavi con meno di 15 giorni, anche se la febbre o la tosse l’avevi avuta per qualche giorno. Ogni mattina aspettavo che il dottore venisse a farmi la visita e puntuale lui arrivava e mi visitava come se fosse il primo giorno, poi parlava con mia madre e infine mi spiegava che pur essendo sfebbrato non dovevo alzarmi dal letto perche’ faceva molto freddo (non c’erano termosifoni) e quindi era pericolosissimo passare dal caldo al ghiaccio del corridoio che il dott. Cuiuli definiva sempre “la Siberia”. Ogni giorno la stessa storia, speranza, trepidazione e delusione per un via libera che non arrivava mai.
Quello che Buzzati avrebbe descritto nel romanzo Il deserto dei Tartari (e Zurlini in un film), la estenuante attesa alla Fortezza Bastiani del sottotenente Drogo, lo provavo io tra le mura della mia camera, prigioniero per 15 interminabili giorni senza poter far altro che leggere, niente tv, niente visite, solo, per non infettare nessuno. E’ chiaro dunque che se non odiavo il medico di famiglia poco ci mancava ma non c’era niente da fare perche’ anche un anno che al posto del dottore Cuiuli arrivo’ un altro compare di mio padre, il dott. Peppino Curcio Petronio, la procedura fu seguita alla lettera anche da lui e quindi compresi che la medicina ufficiale seguiva una sua misteriosa legge per evitarmi la Siberia. Il dott. Cuiuli con me parlava di tutto, si interessava dei miei studi, mi faceva domande, ma io ignoravo che fosse stato sindaco e anche presidente della Vigor. Calcio e politica non furono argomenti ai quali accenno’ con me neppure una volta e dopo tanti anni di lui mi e’ rimasta dunque una idea ben precisa, che ora provo a definire.
La mia giovinezza in una Nicastro che, sino al 1970, ricordo come un luogo bellissimo dove non si aveva paura di nulla e dove a mezzanotte, alle due, alle tre di notte, potevi camminare lungo i corsi (come facevo io con Silvio Stella e Giorgio Feroleto) senza che ti disturbasse nessuno, quella mia giovinezza e’ stata piena di incontri con persone perbene. I professionisti che io ho conosciuto quando andavo a scuola, voglio dire, sono stati per me (e i miei amici) degli esempi da seguire, da imitare, da ammirare. Per questo siamo poi andati all’universita’ per laurearci. Prendiamo i medici che io ho conosciuto a Nicastro sino al 1970. Sono stati il dott. Cuiuli, il dott. Petronio, e il dott. Montesanti. Adesso ho scoperto che avevano le loro idee politiche, uno addirittura fu sindaco, ma innanzitutto erano fior di professionisti. Non c’era allora questa perversa commistione che c’e’ oggi tra politica e lavoro, non c’era allora il medico di famiglia burocrate che aspetta nel suo studio i pazienti i quali vanno da lui spesso e volentieri per ottenere un certificato che consenta loro di non lavorare. Che cura i pazienti al telefono oppure deve sanare con un certificato le troppe assenze di uno studente che rischia di non essere ammesso agli esami. Io aspettavo come il sottotenente Drogo nella mia Fortezza che arrivasse il dott. Cuiuli per visitarmi e darmi finalmente il permesso di varcare la porta per poi il giorno dopo poter tornare a scuola. Oggi i dottori ricevono richieste perentorie e se non le soddisfano vengono sostituiti con un altro medico. Disse una volta Dino Buzzati spiegando come gli era venuto in mente, a lui giornalista, di scrivere Il deserto dei Tartari.
«… Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città.» Ecco, quelle mie attese interminabili nel tran tran della vita mi hanno lasciato anche memoria di una Nicastro abitata da professionisti impeccabili che il popolo nel lontano 1946 sapeva ri-conoscere subito anche esercitando il diritto di voto.