La bolsa commedia dell’antifascismo

(…) A poche ore dal fattaccio, Scurati si era già trasformato nel monumento a Scurati. Un martire della Resistenza, corona d’alloro, fascia tricolore, inno di Mameli e targa su Lungotevere “Antonio Scurati”, dopo ponte Giacomo Matteotti. Ammetto che questa cosa delle immagini di Scurati mi ha ossessionato per qualche giorno. Mi ricordava la storia del contratto di Buster Keaton con la Mgm, che aveva tra le clausole il divieto di ridere in pubblico. Non dovevano circolare foto di Keaton sorridente, perché avrebbero smontato l’effetto “Pierrot Lunaire” del personaggio, quel volto impassibile, malinconico, surreale, cifra e segno impareggiabile della sua comicità. Non credo che Scurati abbia un contratto simile con Bompiani (anche alle ossessioni c’è un limite). Non è insomma una cosa preparata. Anche perché tutte le foto di Scurati sono un po’ così. Sembra un condannato a morte anche in quelle dello Strega, mentre beve l’amaro calice e spiega che il suo romanzo è una “palestra di antifascismo”. Chissà, forse in questi anni, di sicuro dopo il successo di “M”, ha coltivato questa posa da scrittore tormentato, sempre serissimo, angosciato, attonito, alle prese con “quella forma di conoscenza superiore che è la letteratura” (sempre Scurati), forse intuendo che prima o poi, dai e dai, sarebbe arrivato il momento “questo dolore ti sarà utile”. E quel momento è arrivato domenica scorsa. Tutto ciò non ha molto a che fare con la libertà d’espressione, il 25 aprile, l’antifascismo. Avete ragione, ma ci arriviamo alla fine. Il fatto è che in questa storia c’entra parecchio anche l’immagine degli scrittori, i “professionisti dell’antifascismo”. La difesa del loro desiderio di status e riconoscimento. La comprensibile rivalsa dopo tutti quei martiri televisivi che, da Fazio ad Amadeus, gli sono passati davanti, fregandogli la ribalta. Ecco quindi il “medley Scurati”, la catena di letture, il monologo che diventa orazione pubblica e collettiva. (…)

Un “We are the World” antifascista, con Lagioia Quincy Jones che apre infatti il reading e conduce il coro (e come davanti al video di “We are the World”, “toh guarda Sandro Veronesi”, “ah c’è anche Raimo!”, “e questo chi è?”, mentre sciorinano insieme il delitto Matteotti in versione Scurati). Il monologo diventa virale. Scurati ovunque. Casa per casa, strada per strada. Sui palchi di Napoli, di Milano, nelle piazze, a scuola, all’università, Scurati traccia della maturità, “porto il monologo di Scurati”,“C’è ancora Scurati”, à la Cortellesi, “C’è sempre Scurati”, à la Ennio Doris. Anche la stampa estera com’è ovvio s’è indignata. Però come già con Berlusconi non coglie il punto. Son cose complicate da spiegare dopo Chiasso. Una Rai che censura tanto per cominciare avrebbe un progetto, un disegno, una qualche politica editoriale anche perentoria. Qualcuno che decide, altri che eseguono, invece come sempre tutto è faide, correnti, controcorrenti, scollamento tra reparti, apparato contro apparato, schiuma quantistica mascherata da rigida burocrazia, “non è che censurano, è che non sanno censurare”, come dice Ferrara – e poi alla stampa estera andrebbe prima spiegato il complicato assetto delle feste nazional-identitarie, una di sinistra (25 aprile), una di destra (4 novembre), una di centro (2 giugno), una di cui non frega niente nessuno (17 marzo): una lottizzazione perfetta. Ma la libertà non sente ragioni. Gli studenti leggono il monologo in aula perché “il contrasto alla censura e alla repressione deve ripartire dai luoghi del sapere”. Gli stessi luoghi dove a Molinari è stato impedito di parlare, con una censura che diciamo ha funzionato meglio di quella di Scurati, e neanche uno scrittore che alzava il sopracciglio per dire “mah”. Ecco poi un #MeToo dei censurati. “E’ successo anche a me, ma molti hanno taciuto”, dice Saviano. Poi a cascata un po’ tutti. Ovunque scrittori censurati (anche io ripensandoci ho presentato tempo fa un libro su RaiPlay, ma la puntata non c’è, non ho avuto il coraggio di denunciare, ho taciuto).

Non se ne esce. Non se ne uscirà facilmente. Forse i nipoti dei nostri nipoti avranno un giorno a che fare con conservatori, progressisti, riformisti, ecc. Noi altri moriremo impegnati in uno splendido dibattito teologico tra fascismo e antifascismo.

Ma il monologo, alla fine, com’era? Il monologo, signori, era brutto. Si può difendere il diritto a leggerlo in tv, e si può criticarlo come operazione disonesta e sciatta. Scurati ha fatto un compitino di storytelling tipo Scuola Holden nella prima parte, quella su Matteotti, usandola di fatto come scudo per dare poi della “neofascista” a Meloni (neofascista sarebbe un reato, una cosa tremenda, roba da mandante di stragi, trame occulte, piste nere). Non era un monologo sul 25 aprile. Non era un monologo sull’antifascismo. Era un discorsetto politico da aula occupata di Lettere, che fa il paio con il “neonazista nell’anima” di Luciano Canfora. Lo stesso errore che ritorna, dopo vent’anni di antiberlusconismo, sempre identico: delegittimare l’avversario e i suoi elettori come feccia dell’umanità, gente che non dovrebbe stare neanche all’opposizione, ma in galera, perché non ha letto i nostri libri (lo ha detto benissimo Augias andando via dalla Rai, “voglio stare con persone che mi somigliano e che hanno letto i miei stessi libri”).

(…) Oggi il livello è questo. Vent’anni di social hanno riportato il dibatitto sul fascismo a prima degli studi di De Felice. Regredito alla coppia “ha fatto anche cose buone” vs “Male assoluto”, categoria emotiva e minchiata davvero perfetta per i social. Se però non scrivo “antifa’” nella bio su Twitter, se però non chiudo ogni frase con “antifascista”, potrei avere altre ragioni. Potrei essere allergico all’antifascismo pacchiano della cover di Vanity Fair con Serena Bortone, “io sono antifascista”. All’antifascismo grottesco di Scurati che si sente un bersaglio mobile, mentre gli danno la caccia solo festival letterari, giornali, televisioni. C’è l’antifascismo istituzionale di Mattarella, quello del dovere della memoria. Ma c’è anche un uso politico dell’antifascismo davanti al quale si può preferire lo sciopero bianco. Un antifascismo che sa di canto del cigno della vecchia sinistra, e ti vuole vendere il pacchetto completo, antiamericanismo, anticapitalismo, antisemitismo, tutto sotto copertura dell’antifascismo.

Grazie alla Rai, il monologo di Scurati ha capitalizzato al massimo questa parodia antifascista, ultima stella polare della sinistra intellettuale. Ha trasformato un monologo fatto apposta per dividere in uno splendido momento di fusione delle anime belle, con un promo perfetto per la serie “M”. E mi piace pensare che almeno ora se la stia ridendo. Naturalmente stando attento a non farsi fotografare.