Leggendo la sua lettera mi è venuta in mente l’ultima volta in cui sono stato a Londra. Molti locali non accettano più i contanti. Siccome appartengo a una generazione cui pare strano pagare il caffè con la carta di credito, il barista mi guardava con compatimento: «No cash, please». Mi raccontava un noto ristoratore milanese che tanti clienti gli propongono di pagare in contanti in cambio di uno sconto, e lui pazientemente spiega che non si può: per un’azienda gestire il nero è un problema, è tutto molto più semplice con i pagamenti elettronici, sia fare il bilancio, sia pagare le tasse. Il problema è che in Italia le tasse sono eccessive. Tra aliquote, addizionali, contributi, per mettere da parte un euro se ne devono incassare più di due. Nel Regno Unito tutti accettano e a volte preferiscono la carta di credito perché le tasse sono più ragionevoli, e alla lunga anche lo Stato ci guadagna. La politica italiana però non ragiona così. Salvini intesse volentieri l’elogio del contante. Ho sentito in tv un autorevole opinionista dire tutto serio che i fautori della carta di credito vogliono impedirci di fare l’elemosina. A pagare con la carta ci si sente talora malvagi sadici che infliggono una sofferenza fisica a chi incassa. Capita di incontrare agenti immobiliari che chiedono la loro percentuale — il 3 o il 4% del costo di una casa, insomma non bruscolini — in nero; ma chi gira con migliaia di euro in tasca o nella valigetta? La piaga dei sequestri fu risolta quando lo Stato bloccò i conti delle famiglie dei sequestrati: all’inizio apparve una misura crudele, e in fondo lo era; ma funzionò. Alla lunga, la piaga dei furti nelle case non sarà risolta dalle porte blindate o dalle pistolettate dei proprietari, ma dalla scomparsa o dalla forte riduzione del contante.