Scrive Francesco Verderami sul Corriere di oggi: Diciassette anni fa il Pd è stato la grande novità della politica italiana, mentre oggi è vissuto nel suo stesso campo come il grande equivoco. Il partito che un tempo si definiva «di centrosinistra» ora si identifica solo come forza «di sinistra».
Non è una banale questione lessicale, perché nei dem è presente l’area popolare che insieme alla componente post comunista ha dato vita al progetto. Ma è evidente che le due anime vivono sempre più da separati in casa. Giorni fa, uno dei maggiori rappresentanti della corrente riformista ha incrociato un ex parlamentare del Pd, che — riferendosi a Elly Schlein — gli ha chiesto: «È vero che lei tra poco se ne va?». E l’altro: «Tra poco ce ne andiamo noi».
«Se vengono candidati pacifisti e atlantisti, filo-industriali e filo-sindacali, o c’è la capacità di fare sintesi politica o è molto difficile gestire la coesistenza». E cosa accadrebbe se a Strasburgo futuri europarlamentari dem dovessero votare contro gli aiuti all’Ucraina? E’ possibile accettare che a Strasburgo Santoro, Tarquinio e Vannacci votino allo stesso modo?
Dopo che un pezzo del Pd ha detto di essere pronto ad appoggiare il referendum contro il Jobs act, ieri Lorenzo Guerini ha chiesto a Schlein di «non sostenerlo»: in caso contrario l’ex ministro della Difesa vedrebbe sconfessata la sua storia.
Schlein, non a sorpresa, ha scelto di premiare nelle liste per le europee Marco Tarquinio, Jasmine Cristallo, Cecilia Strada, Pietro Bartolo. Nomi che diranno forse poco al pubblico, forse meno di Vannacci, ma che hanno una caratteristica, un filo conduttore comune: sono tutti soggetti politici e della società civile che hanno promesso che in caso di elezione faranno di tutto per evitare che vengano mandate armi in Ucraina, per difendere Kyiv. Il Pd, finora, ha votato sempre, o quasi, a favore dell’aiuto all’Ucraina, ma le candidature di Schlein sono il riflesso di ciò che lei vorrebbe fare ma non riesce a fare. Viene da chiedersi: ma una sinistra che si considera antifascista, può pensare di essere timida verso un regime parafascista come quello putiniano che prova da due anni a conquistare un paese democratico come l’Ucraina?
L’altra sera Formigli conduttore di Piazza Pulita ha detto senza rendersene conto una cazzata terribile: ma nel pd ci devono essere posizioni diverse e pluraliste, non ricordate come siano coesistiti Napolitano Amendola e Ingrao?
A parte il voler richiamare la tradizione del centralismo democratico di un partito, come il pci, che non esiste piu’, Formigli dimentica che c’era qualcosa che univa nel profondo i miglioristi con Cossutta o con Ingrao ed era proprio la politica estera (solo con la svolta della Bolognina nel 1989 si ruppe l’unita’), mentre era sulla politica interna che avevano grandi divergenze. Mentre oggi al contrario tra i 5Stelle e i riformisti non esistono gli stessi punti di riferimento internazionali: Biden o Trump? Con Francia, Germania e Inghilterra per l’Ucraina o con Putin? Con i socialisti europei o con i conservatori? Con Israele o con Hamas?
Se consideriamo che nel 2019, il M5S (che non appartiene attualmente a nessun gruppo politico al Parlamento europeo!) riuscì ad eleggere 14 eurodeputati, ora, con l’addio di Castaldo, passato ad Azione, ne sono rimasti appena 5. «Mi si epura – aveva scritto – perché ho esposto pensieri non azzerbinati ai voleri del Capo Unico e Supremo, Giuseppe Conte». Castaldo e Onori hanno poi criticato le «ambiguità» del M5s sulla «criminale invasione russa dell’Ucraina».
Se vogliamo ridurre in poche battute tutto il dibattito sulle guerre a cui stiamo assistendo, la sinistra, italiana e europea, deve scegliere tra una posizione “neutralista” che si autodefinisce pacifista (ma considera gli Stati Uniti come i veri responsabili di tutto il male del mondo) e un’altra filoamericana e atlantica. Tertium non datur e solo se si scioglie l’equivoco si puo’ chiarire all’opinione pubblica una posizione politica chiara ed intellegibile.
Quanta bravissima gente nelle liste per le Europee (di Carmelo Palma) …candidati pacifisti alla costruzione della pace, cioè alla bastonatura dei pruriti europeisti dell’Ucraina e di tutti i Paesi ex vassalli dell’impero di Mosca. Però non sono cattivi, non sono cinici, non sono interessati, non sono prezzolati. Sono, indubbiamente, delle brave persone, animate da sentimenti di generosa benevolenza.
C’è la figlia d’arte della cura e del soccorso internazionale, volontaria degli ospedali da campo di terra e di mare, con gli oneri e gli onori del legato paterno appesi a una vita randagia e a un impegno febbrile. C’è il medico di frontiera, che per decenni ha aspettato sugli scogli di Lampedusa gli scampati ai naufragi, per suturarne le ferite dell’anima e del corpo.
C’è il giornalista cattolico ideologicamente ruiniano e politicamente francescano, ecumenicamente impegnato nell’aiuto ai derelitti, agli immigrati e ai carcerati e nella difesa della loro dignità. C’è il sindaco che ha fatto della solidarietà con gli ultimi del mondo un modello di accoglienza efficiente e fortunata, sia pure con qualche libera licenza amministrativa, che gli è costata un’accusa ingiusta di malversazione, da cui è uscito a testa alta. C’è l’imprenditore di successo, cattolicissimo ma non bigotto, filantropo e mecenate politico, dall’indole olivettiana e dall’insaziabile eclettismo partitico.
Tutta gente perbene, perbenissimo, fosse però per la quale gli ucraini sarebbero già tutti morti o tutti schiavi. Quanti di loro sbarcheranno a Strasburgo e a Bruxelles saranno la quinta colonna e il volto umano dei magheggi putiniani, gli utili idioti dell’autodistruzione morale dell’Europa e i volenterosi attendenti della carneficina del diritto e della libertà, oggi degli ucraini e domani dei prossimi candidati alla pace – i baltici, i finlandesi, i moldovi, i polacchi – portata dalle bombe e dall’ira del Cremlino.