Un po’ come ovunque, anche in Italia una parte considerevole dei cosiddetti intellettuali di sinistra (giornalisti, professori, ingegneri tristi, sedicenti artisti ecc…) appare pervasa dal desiderio incontenibile di riconoscimento, tipico un po’ di tutti gli intellettuali indistintamente, ma soprattutto da un vezzo che un tempo era diffuso soltanto nella vecchia aristocrazia: il fastidio estetico nei confronti della realtà che li circonda e il conseguente senso di superiorità estetica e morale.
Disagio, malcontento e risentimento sono un po’ la differenza specifica di questi intellettuali, come se la società in cui vivono, involgarita dal bieco interesse economico, sorda al grido di dolore che si leva dalle periferie del mondo, non riesca ad apprezzare le profondità della cultura che essi rappresentano, il senso di giustizia che li pervade, il bene che sentono di custodire. Meriterebbero insomma molto di più di quanto viene loro riconosciuto. Quanto al mondo, è ovvio che esso andrebbe molto meglio se la gente si decidesse finalmente a seguire i loro insegnamenti, specialmente quelli in materia di gender, di ecologia antiumana o di ostilità al libero mercato. Siamo o no gente che ha studiato, che studia e che fin da quando eravamo sui banchi di scuola era evidente a tutti che fossimo i più bravi?
Come ebbe a dire Robert Nozick, per molti intellettuali l’uscita dalle aule che hanno frequentato da studenti e l’ingresso nel mondo reale sono stati un vero e proprio shock. Venuti meno i criteri di giudizio che vigevano sui banchi di scuola, tarati per lo più sulle loro doti nello studio, si ritrovano a fare i conti con un mondo che sembra seguire altri criteri, basati spesso addirittura sulla pura casualità (orrore!) piuttosto che sui meriti, i titoli di studio o le qualità morali. Terribile, insopportabile che la realtà non coincida mai con l’accademia platonica. Ma ciò nondimeno essi restano degli “ottimisti senza scrupoli”, come avrebbe detto Roger Scruton; non perdono mai la speranza di mettere ordine nelle vite degli altri e di realizzare finalmente la vera giustizia. Per nostra fortuna il più delle volte invano. Di qui il loro diffuso senso di frustrazione, che però non sembra intaccare minimamente l’ostinata convinzione che esistano soltanto il bianco e il nero, né l’avversione per quello che certamente è il colore più caratteristico della condizione umana: il grigio. Un po’ come il Barone di Münchausen che per tirarsi fuori dal fango cercava di aggrapparsi al codino dei suoi capelli, anche costoro pensano di far presa sulla realtà e di compensare eventuali frustrazioni esasperando ancora di più le astrazioni ideologiche che dalla realtà li ha in gran parte estraniati. Prendiamo come esempio la questione israeliano-palestinese.
Un certo intellettuale di sinistra ha sempre guardato ideologicamente Israele come una sorta di usurpatore in un territorio non suo, assecondando le rivendicazioni palestinesi, senza troppi riguardi alla volontà di gran parte del mondo arabo di spazzare via Israele dalle carte geografiche. Dopo l’attentato terroristico di Hamas dell’ottobre scorso tale volontà sembrava aver assunto contorni tanto inquietanti quanto innegabili, al pari del rischio che la reazione di Israele potesse essere sproporzionata. Sta di fatto che oggi per certi intellettuali è come se l’attentato terroristico di Hamas non ci fosse stato. In molti casi lo si giustifica apertamente. Ciò che resta sono soltanto i morti procurati dalla reazione israeliana (una tragedia immane) come la dimostrazione più lampante che Israele andrebbe annientato.
Una logica davvero schiacciante. La stessa logica che si sprigiona dalle manifestazioni anti israeliane di questi giorni nella maggior parte delle università più prestigiose del mondo, dove si coltiva, manco a dirlo, la classe intellettuale di domani. Per fortuna è da supporre che molti studenti che oggi manifestano innalzando cartelli anti Israele e pro palestinesi domani avranno rivisto gran parte delle loro opinioni. È successo anche ad altre generazioni. Resta invece la tristezza per i loro maestri, gente ormai irrimediabilmente avvezza a confondere la realtà con le proprie rappresentazioni, convinta che la complessità del conflitto vada risolta annientando una delle due parti, Israele, perché solo in questo modo il bene potrà avere il definitivo sopravvento sul male. Che Dio ce ne scampi.