In “La fabbrica dei voti finti” (Armando editore, 2017), un preside calabrese che poi sarei io scriveva nel cap. 18 (A casa non studiano): Il video di una docente umiliata in un’aula, postato da una anonimo sul sito de la Tecnica della Scuola qualche giorno prima della riforma Renzi ha riportato l’attenzione sulla scuola reale che anche dopo la Buona Scuola ci sfugge. Il giorno successivo Repubblica (p.30) riferiva di “un terremoto nella scuola inglese. Il ministro dell’istruzione ha nominato un consigliere comportamentale per affrontare le intemperanze a lezione”. Disciplina in classe, e’ la parola d’ordine (…) Non oso immaginare le paginate di opinioni che gli esperti ci regalerebbero sulla stampa se agli insegnanti italiani qualcuno volesse parlare di scienza comportamentale…
Nella nostra scuola ogni insegnante tenta di negoziare la sua “pace separata” con la classe per riuscire a gestire il disordine. “Con me stanno buoni” e’ la massima da Siae di quanto dico. I docenti in genere oscillano tra punizioni (nelle materne talvolta da arresto) e chiacchierate. Metodo correttivo o confidenza. Il pedagogo Daniele Novara afferma invece che la buona educazione e’ un fatto di organizzazione, non di empatia e chiacchierate. Che c’entra anche qui il fatto organizzativo? C’entra perche’ altrimenti una scuola (come un genitore) improvvisa o preferisce reagire istintivamente piuttosto che stabilire regole chiare, divieti precisi e utilizzare una comunicazione ferma e decisa, adeguata alle diverse eta’ degli alunni.
Mi scuso per questa lunga autocitazione ma ormai la violenza a scuola e’ un bollettino di guerra, oggi (Corsera, Calci e pugni al professore dopo l’interrogazione andata male: il docente soccorso dai colleghi è in ospedale. «Colpito anche con il casco» di Carlo Macrì) e’ la volta di un istituto tecnico di Rossano, ma questo episodio segue di qualche giorno l’accoltellamento tra studenti, avvenuto al Liceo Vinci di Reggio Calabria , dove un quindicenne ha accoltellato un coetaneo. Quando io scrivevo sette anni fa avevo ben presente non solo la scuola reale italiana di cui nessuno parla mai presi come siamo ad inseguire fumisterie, ma soprattutto quel che avveniva ormai da 10 anni in Inghilterra, Francia, Spagna e Germania.
Purtroppo, noi italiani siamo specialisti di due cose: non guardare mai a quel che avviene all’estero (la famosa mancata gita a Chiasso di Arbasino) e voler reagire a sangue caldo alle tragedie. Se ci guardassimo intorno capiremmo in anticipo certe tendenze (la globalizzazione e’ questa) e se non volessimo re-agire ma fare prevenzione affronteremo in maniera concreta alcune problematiche scolastiche, la prima delle quali concerne i rapporti “affettivi” e interpersonali che costituiscono la trama quotidiana di ogni comunita’ scolastica. Detto in altre parole, la prima cosa che si dovrebbe stabilire nella scuola italiana sono per l’appunto i comportamenti. E’ un argomento di cui ci si occupera’ il giorno (speriamo il piu’ tardi possibile) in cui in una scuola qualcuno ci lasciera’ le penne dal momento che gli atti violenti si stanno moltiplicando.
E qui viene il bello. Se in Italia non esiste neppure una legge che stabilisca come si deve comportare un bravo insegnante (da noi esistono solo i contratti che stabiliscono diritti e doveri generici), un bravo dirigente, un bravo assistente amministrativo, un bravo collaboratore scolastico, come si puo’ pretendere da studenti e genitori il cd rispetto? In Italia ognuno, svolgendo il proprio lavoro scolastico, si puo’ comportare come vuole e questo apprendono gli studenti. Di tanto in tanto ci si occupa di dettagli (il cellulare puo’ essere portato in classe?), altre volte di tutto di piu’ (dipendenze, educazione civica, educazioni, progetti) ma il comportamento di ciascun membro della comunita’ e’ libero, non regolato. Nelle scuole ci si autodetermina. La cosa piu’ importante che non si e’ capita e’ che la democrazia (cioe’ l’unico modo che gli umani hanno inventato per bloccare la violenza) si impara a scuola. Come la religione si pratica frequentando i luoghi di culto e ripetendo rituali, cosi’ la democrazia si apprende a scuola dove non si possono abbandonare rituali e simboli senza pagare un prezzo altissimo. Una volta discutevo con una mamma che voleva che il figliolo potesse tenere il berretto in classe (“che male c’e’?” mi diceva). Le spiegavo che i luoghi delle istituzioni pretendono certe forme, per esempio in un consiglio comunale non si entra col copricapo o in costume da bagno.
Per concludere vorrei fare un piccolo esempio anche questo tratto dalla cronaca. Una scuola stabilisce (ma le scuole non sono autonome?) che ai viaggi partecipano soltanto alunni con votazioni positive. Apriti cielo. Si tirano in ballo precetti costituzionali, principi etici et similia. Riflettete un momento su un piccolo particolare molto trascurato appunto perche’ la scuola italiana non si occupa di comportamenti. L’alunno Tizio frequenta saltuariamente una scuola ma durante l’anno e’ stato sospeso qualche volta, e’ scostumato ed anche vandalo. Per quale ragione l’alunno va premiato e portato in gita a rischio di provocare danni o pericoli a cose e persone? Ci sono precetti costituzionali che impediscono di fare pre-venzione e immaginare che quel che Tizio fa a scuola lo possa ripetere in un albergo o in una citta’ diversa o in autobus in viaggio?
Insomma, programmi, educazioni, uda, pof, ma la scuola-progettificio non si occupa di come ci si deve comportare a scuola. Solo gli inglesi che come si sa tengono molto alle forme, nei loro college oltre alle divise, ai tutor, alla valutazione, si occupano di scienze comportamentali. In Italia paese cattolico ci si limita a raccomandare “nelle scuole comportatevi bene”. Ma, in concreto, ciascuno cosa deve fare o non fare? Anche i comportamenti corretti si apprendono e se non nelle scuole, dove?