Pare che ieri, ci informa Repubblica, il professore Luciano Canfora al Salone del Libro di Torino abbia impartito una «meravigliosa lezione di democrazia».
Una lezione, ci avverte l’entusiasta cronista dell’evento, che «nell’Arena contro la censura ha un valore ancora più grande», essendo l’anziano capostipite di una delle più multiformi dinastie accademiche italiane vittima della fascistica suscettibilità della presidente del Consiglio, che l’ha querelato per diffamazione dopo essersi sentita appellare «neonazista nell’animo» per avere «scelto di schierarsi con i neonazisti ucraini».
Si sa che l’olio di Canfora, il distillato del suo sapere e della sua spocchia, è stato il Crisma con cui per decenni si è battezzato il popolo antifascista, si sono cresimate le élite post-resistenziali e si sono ordinati i sacerdoti della lotta di classe, che non a caso ieri l’ospite censuratissimo, eppure conteso da tutte le botteghe dell’industria culturale e mediatica, ha richiamato come orizzonte e dovere perché – tenetevi forte – «la libertà ha l’eterno davanti a sé» e «ci sarà sempre un nuovo conflitto».
D’altra parte il Canfora pensiero è stato anche l’olio di ricino con cui la sinistra comunista, prima maggioritaria, poi minoritaria e ora ubiquitaria nel mainstream demo-populista, ha cercato di purgare le colpe delle compromissioni liberali e riformiste, con cui la sinistra post-comunista, dopo la caduta del Muro, ha provato a riconvertire il suo scopo sociale e la sua identità politica in quella di una forza più o meno modernamente progressista.
Viene da chiedersi perché un professionista dell’apologetica staliniana e uno spregiatore della democrazia borghese sia tuttora così amato, riverito e vezzeggiato e venerato come sacra icona di un antifascismo eterno e eternamente equivoco e nostalgico, anche da parte di chi dovrebbe avere laicizzato quella memoria e preso congedo dalle sue iconografie.
Viene cioè da chiedersi perché élite politiche e intellettuali progressiste ormai biograficamente estranee e ideologicamente distanti dal mondo che Canfora rappresenta e dall’oltremondo da cui scaglia i suoi anatemi continuino a farsi impartire «meravigliose lezioni di democrazia» da un barone a cui la democrazia, diciamolo, ha sempre fatto schifo.
Viene da chiedersi tutto questo, ma anche da non rispondersi, per timore che la risposta più giusta sia quella peggiore e rimandi a un album di famiglia che rimane comune.