È vero: la ricchezza di un Paese dovrebbe essere prodotta da imprenditori, aziende, lavoratori e cittadini, non dallo Stato. A quest’ultimo compete una parte di questa ricchezza prodotta che, sotto forma di imposte, ha il compito di redistribuire come un buon padre di famiglia a quella parte della popolazione che è in stato di bisogno, necessità e rischio (per utilizzare una definizione di welfare state). Nel far questo lo Stato non deve opprimere con un eccessivo peso fiscale chi produce e chi lavora eliminando il più possibile anche complessità e burocrazia. Questo in estrema sintesi è il pensiero della presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, espresso in occasione della presentazione alla Camera dei deputati della riforma fiscale. Tutto condivisibile e da sottoscrivere, ma… Se da queste ottime enunciazioni passiamo a quello che effettivamente oggi avviene nel nostro Paese, qualche riflessione occorre pur farla anche perché tra Tir (trattamento integrativo del reddito – l’ex «bonus Renzi» ampliato) decontribuzione, assegno unico universale per i figli, aumento delle pensioni minime per quel quasi 47% di pensionati che in 67 anni di vita hanno contribuito con tasse e contributi poco o nulla, il livello di assistenza sociale è degenerato e ha perso le connotazioni per cui era stato progettato.
Quanti soldi spende lo Stato?
Quindi, per tasse, redistribuzione ed eccesso di assistenza qualche scomoda domanda supportata sempre dai numeri risultanti dalle elaborazioni dei dati dell’Agenzia delle Entrate, del ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Istat, va pur fatta. La prima domanda è: «Quanto denaro viene redistribuito in Italia e a chi?». Sulla base delle fonti citate possiamo calcolare il valore della redistribuzione per l’anno 2021, ultimo dato fiscale disponibile.
Iniziamo con la sanità la cui spesa totale nel 2021 è stata di 117,834 miliardi pari a 1.989 euro per ogni cittadino italiano (pro capite). Per garantire i servizi sanitari al 55,75% di italiani che in totale versano 12,9 miliardi di Irpef, occorrono 52,749 miliardi che sono a carico soprattutto del 13,94% della popolazione che dichiara redditi da 35 mila euro in su e che versa il 62,5% dell’Irpef.
Assistenza sociale e istruzione
Poi viene la spesa per assistenza sociale a carico della fiscalità generale che nel 2021 è ammontata a 144,215 miliardi, pari a 2.434,57 euro pro capite. Si tratta di un pro capite tutto teorico e sottostimato in quanto non ne beneficiano i redditi sopra i 35 mila euro e che serve per garantire tutte le assistenze alla famiglia, ai soggetti privi di reddito, ai pensionati assistiti (circa il 47% dei 16,1 milioni di pensionati), ai disoccupati e agli invalidi con bonus, sussidi e reddito di cittadinanza. Per finanziare la parte di spesa non coperta dal 42,59% degli italiani senza redditi e da quelli che versano una imposta inferiore a 4.424 euro (sanità più assistenza fanno 4.424 euro) occorrono altri 78,19 miliardi che sono a carico prevalentemente del solito 13,94% cioè di 5,783 milioni di contribuenti pari a 8.254.759 di cittadini e in parte del 22,10%, che autosufficiente per la sanità con una imposta media di 2.935 euro, concorre all’assistenza per il 39% cioè 946 euro su 2.435, lasciando il resto ai contribuenti di fascia più elevata. Potremmo proseguire ma ci fermiamo all’istruzione, una spesa pari al 4,1% del Pil, che vale circa 73,1 miliardi con un costo pro capite di 1.233 euro, questa volta a totale carico del 13,94%, per una redistribuzione pari a 62,9 miliardi.
Effetto ridistribuzione
Per queste sole tre funzioni, seppur di rilevante importo (le pensioni sono escluse in quanto quelle vere pagate dai contributi sono in equilibrio), la ridistribuzione totale è pari a 193,84 miliardi su circa 598,941 miliardi di entrate al netto dei contributi sociali (dato relativo al Def 2021) di cui 253 di imposte dirette (il valore è relativo ai redditi 2021); in pratica viene redistribuito il 75,6% di tutte le imposte dirette che va totalmente a beneficio del citato 55,75% di popolazione. Poi c’è tutto il resto: ordine pubblico, giustizia, amministrazione, viabilità ecc, tutto a carico di pochi cittadini e del debito pubblico che ogni anno aumenta spaventosamente tra la totale indifferenza. È una enorme ricchezza di cui i cittadini beneficiari, probabilmente non si rendono nemmeno conto sentendo i politici che continuano a proporre sussidi e parlare di disuguaglianze al solo scopo di poter promettere ulteriori agevolazioni per guadagnare consensi elettorali.
Facendo la riprova, sulla spesa pubblica totale pari, per il 2021 a 871,003 miliardi, la spesa pro-capite è di 14.561 euro per abitante e solo il 5,01% dei cittadini versa un’Irpef da 15.042 a 177.701 euro e che quindi sarebbe più che autosufficiente.
La riduzione del carico
Se si considera che le restanti imposte dirette (Ires, Irap e Isost) sono prevalentemente a carico di poco più del 13% dei contribuenti e che le imposte indirette sono proporzionate ai redditi dichiarati, la percentuale di redistribuzione aumenta ancora. La ridistribuzione non è solo tra cittadini ma anche tra zone geografiche; la Lombardia con circa 10 milioni di abitanti versa più Irpef di tutto il Mezzogiorno (8 regioni e oltre 20,2 milioni di abitanti).
Alla luce di questi dati ha ancora senso parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze? O sarebbe meglio aumentare i controlli, parlare di doveri e non solo di diritti e «prendere in carico» i cittadini che si dichiarano bisognosi (5,6 milioni di poveri assoluti e 8,6 di poveri relativi) e assisterli al fine di farli uscire dalla povertà?
Una provocazione: se si vuole ridurre la povertà (finta) e aumentare di un milione quelli che lavorano, sospendiamo per due anni l’Isee; il reddito di cittadinanza docet (650 mila nuovi occupati).