La politica nei futuri Stati Uniti d’Europa sarà percorsa dallo stesso rivolo di violenza che ha insanguinato quella degli Stati Uniti d’America? L’attentato a Robert Fico fa vivere a noi europei sentimenti di sconcerto e di paura che l’opinione pubblica americana ben conosce. Quattro presidenti assassinati, e tra di loro due miti fondativi come Abramo Lincoln e John Kennedy. Uno dei più grandi leader del Novecento, Ronald Reagan, seriamente ferito in un attentato. Altri quattro capi di Stato sfuggiti per un soffio a un tentativo di ucciderli.
Ci stiamo avviando su quella strada?
La violenza politica in America ha infatti un tratto che la distingue. Anche noi abbiamo conosciuto gli attentati terroristici. Aldo Moro ha pagato con la vita, così Olof Palme, o Pim Fortuyn. In Israele l’uccisione di Yitzhak Rabin ha cambiato il corso della storia di quel Paese, portandolo dalla pace possibile alla guerra permanente. Ma in America l’uomo qualunque con la pistola, l’insospettabile che si vendica dei torti subiti dalla società, il taxi driver disadattato del film di Scorsese che compra un’arma per far fuori un senatore al comizio, rappresentano un filone particolare della violenza, più esistenziale e individualistica che organizzata e terroristica. Di sicuro la radicalizzazione della lotta politica, l’estrema polarizzazione che soprattutto negli ultimi decenni ha segnato la vicenda americana, ha svolto un ruolo decisivo nell’eccitare i più facinorosi tra gli spettatori del grande show.
L’assalto al Congresso del 2021 ne resterà per sempre un’inconfutabile e storica testimonianza.
Il contagio in Europa è evidente. Un tempo il bipolarismo spingeva i leader a cercare consensi al centro dell’elettorato, lì dove funziona un discorso moderato. Era così che si vincevano le elezioni. Oggi invece le elezioni si vincono mobilitando i settori più estremi della società, incitandoli all’odio per l’avversario, scimmiottando una guerra civile permanente, demonizzando il nemico, che non basta più battere nelle urne ma va eliminato, annichilito, asfaltato, rottamato, perché è il vero cancro della società ed eliminato lui o lei tutto tornerà a funzionare in giustizia e armonia, come al bel tempo che fu.
È singolare che le cronache dalla Slovacchia, nel tentativo di dare un’etichetta politica a entrambi, descrivano sia la vittima, Robert Fico, sia l’attentatore, Jurai Cintula, come «populisti». Forse lo sparatore era un populista di sinistra, e considerava Fico un dittatore di destra da eliminare. Ma Fico è anche stato di sinistra, comunista e poi socialista; è Cintula è stato anche di destra, militante di una formazione paramilitare che si batteva in uniforme contro un’Europa troppo «invasiva». Si dirà: gli estremi spesso si toccano. Del resto Fico è alla guida di una coalizione composta da estrema sinistra e ultra nazionalisti. Ma il punto non sono le idee dei politici, tutte legittime se sostenute dal consenso popolare in regolari competizioni democratiche e ovviamente nessuna contestabile con la violenza. Il punto è come vengono descritte dai loro avversari e dai media. E Fico, per i suoi nemici, era il demonio.
Anche un’altra invenzione americana, quello «stile paranoide nella politica» che diede il titolo a un celebre saggio del secolo scorso, sta facendo scuola nella nostra vecchia Europa, e a casa nostra. Teorie cospirative, complottismi, campagne di fake news, tifo scatenato per questo o quel combattente delle guerre altrui, creano, cementano e agguerriscono fazioni di fanatici. Riforniscono il vasto serbatoio di rabbia che giace al fondo della nostra società, laddove la politica democratica non arriva e si afferma la sub-cultura dell’odio. La razionalità è bandita dal dibattito pubblico, schernita come «cerchiobottismo», segno di pusillanimità; a differenza del settarismo, che impone di prender partito sempre e comunque, per alimentare un complesso politico-mediatico che vive di risse tra fazioni, faide e congiure, come avveniva nei Comuni medievali.
Forse sarà il caso di darci una calmata. A partire dai media.