Nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, il generale dei carabinieri Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore dei servizi segreti, si è visto recapitare un avviso di garanzia dalla procura di Firenze per le stragi del 1993. Per la precisione, si legge su Repubblica, per non avere rivelato «mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti» di cui sarebbe stato informato già nel 1992. L’articolo prosegue spiegando che l’anno scorso Mori avrebbe confermato ai magistrati toscani di avere ricevuto la segnalazione ma di non averla considerata attendibile. Personalmente, trovo però più utile di ogni altro dettaglio il boxino in cui sono riassunti gli episodi precedenti della vicenda giudiziaria di Mori, che riporto di seguito a beneficio del lettore.
1) «La trattativa Stato-mafia. Accusato di aver condotto un dialogo segreto con Cosa nostra dopo la strage di Capaci, è stato assolto in Cassazione nel 2023».
2) «Il covo di Riina. Processato insieme al “capitano Ultimo” per i ritardi nella perquisizione dopo l’arresto del capo dei capi, è stato assolto nel 2006».
3) «La caccia a Provenzano. I pm ritenevano avesse favorito la latitanza del superboss, impedendone la cattura nel 1995. Assolto nel 2017».
Quali speranze di arrivare a una conclusione in tempo utile possono avere i pm?
Stiamo parlando dunque di un uomo che è stato sotto inchiesta, con accuse infamanti e largamente sovrapponibili a quelle di oggi, per oltre vent’anni. Sappiamo che ogni cittadino dovrebbe essere considerato innocente fino a prova contraria, o anche, che è un altro e più preciso modo di dire la stessa cosa, che può essere definito colpevole solo al termine di un regolare processo. Figuriamoci una persona che per le stesse (o analoghe) accuse è già stata processata, e assolta, per ben tre volte. Ma facciamo finta di sapere ugualmente, per vie misteriose, che Mori sia colpevole. Resterebbe comunque il fatto, incontrovertibile, che ha appena compiuto ottantacinque anni. Considerata la vita media degli esseri umani e considerati i tempi della giustizia italiana – due informazioni che dovrebbero essere nella disponibilità della procura di Firenze – quali speranze possono avere i magistrati di arrivare in tempo a una qualche concreta conclusione dell’indagine? La loro decisione è tanto più sorprendente, tra l’altro, perché arriva a così breve distanza da una sentenza della Cassazione che ha smontato senza possibilità di appello (in tutti i sensi) l’intera costruzione del processo sulla cosiddetta «trattativa Stato-mafia». Al tempo stesso, e per la stessa ragione, dovrei dire però che non mi sorprende affatto. Anzi, considerato dal punto di vista della riaffermazione di un potere assoluto, non sottoposto ad alcun limite o reale contrappeso, direi che l’interminabile caso Mori, nell’Italia di oggi, non rappresenta affatto un’eccezione. Semmai, la regola.