I tassisti hanno indetto l’ennesimo sciopero. Proprio contro quel governo Meloni che poco meno di un anno fa ha stralciato per l’ennesima volta la norma sul riassetto dei taxi e che – nonostante le numerose richieste dell’Antitrust di aumentare le licenze – finora si è mosso molto cautamente (per usare un eufemismo) per non urtare gli animi dei tassisti.
Perché scioperano (ancora)
Le 57 (!) sigle delle auto bianche, tra associazioni e sindacati, protestano contro i futuri decreti attuativi (“taglia-code”) di un dpcm del 2019 sulla riorganizzazione del settore. Ci stanno lavorando il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e quello delle Imprese Adolfo Urso. Quest’ultimo «colpevole», per i sindacati, di aver incontrato i vertici di Uber dopo aver detto invece di volerli «contrastare».
I tre decreti riguardano: il Registro elettronico nazionale, il foglio di servizio per il Noleggio con conducente (quelli che trasportano i clienti solo su prenotazione che dovrebbero rientrare in rimessa prima di una nuova corsa, nonostante la Corte costituzionale abbia già detto che è illegittimo) e la regolamentazione delle piattaforme digitali d’intermediazione (quelle dei tassisti, ma anche Uber e Freenow). I tassisti temono come sempre che le nuove norme possano favorire la concorrenza degli Ncc e delle piattaforme, facendo salire i prezzi per i clienti «fino al 400%» – dicono.
Le bozze dei decreti sono già state riviste più volte. A giorni è previsto il parere del Garante della Privacy, poi il governo vuole organizzare un nuovo tavolo con i sindacati, approvando i decreti solo dopo le elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Ma vedremo cosa partorirà l’esecutivo, che finora ha fatto più di un passo indietro davanti alle proteste dei taxi.
Tutti in coda Il precedente più clamoroso è di agosto 2023. Con le città piene di turisti in attesa di taxi introvabili, Urso e Salvini nel “decreto asset” avevano previsto la possibilità di cumulare le licenze per guidare la stessa auto. I tassisti hanno protestato. E il governo ha ritirato la norma, scrivendone un’altra che prevedeva quello che era già concesso agli enti locali. E cioè la possibilità da parte dei Comuni di rilasciare licenze in più a nuovi conducenti, fino a un incremento del 20 per cento. La possibilità di cumulo delle licenze invece resta solo temporanea e sperimentale. Ed è prevista in caso di grandi eventi, come il Giubileo del 2025 a Roma o le Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026.
Le code restano A distanza di quasi un anno, tutto è rimasto più o meno come prima. Non c’è un solo taxi in più in tutta Italia. Finora i bandi comunali sono pochi. A Roma entro luglio dovrebbe arrivare il bando per mille nuove licenze di taxi. Milano a marzo ha pubblicato il bando per 450 nuove licenze, a fronte di 700 richieste arrivate. A Bologna sono previste 72 licenze in più.
Non ci siamo A inizio marzo, l’Antitrust è tornata a chiedere un aumento delle licenze per Roma, Milano, Napoli, Firenze e Palermo, sostenendo che è necessario andare oltre il tetto del 20 per cento e regolamentare le doppie guide.
Secondo gli ultimi dati dell’Autorità di regolazione dei trasporti, relativi al 2019, in Italia ci sono 23mila tassisti con una regolare licenza, a cui vanno aggiunti gli autisti degli Ncc. Molti di questi lavorano anche per Uber. Ma in Italia non abbiamo “Uber Pop”, che permette a chiunque di utilizzare la propria auto come un taxi. Dopo le proteste dei tassisti, nel 2017 i tribunali di Roma e Torino hanno accolto i ricorsi dei sindacati e bloccato il servizio per «concorrenza sleale».
Wired di recente ha chiesto alle prima cinquanta città in Italia un accesso agli atti sul numero delle licenze dei taxi. Scoprendo ad esempio che a Livorno non si fa un bando dal 1977, a Genova dal 1980. L’ultimo bando di Roma è del 2006, l’ultimo di Milano del 2003.
Quanto costa? Il Sole 24 Ore ha fatto i conti su quanto costerebbe ora avviare l’attività di tassista attraverso i bandi pubblici. La risposta è: molto meno rispetto al mercato parallelo della compravendita di licenze tra privati. Mercato finora protetto e alimentato proprio dalla penuria di bandi pubblici.
A Milano, chi vuole guidare un taxi rispondendo al bando comunale dovrà pagare 96.500 euro per la licenza, ben al di sotto dei circa 160mila euro di valore medio di vendita privata tra tassisti. A questo si aggiungono gli sconti per chi è disposto a lavorare nei turni serali e utilizza un mezzo attrezzato per persone disabili. A Roma, il bando è al centro di un complesso confronto tra tassisti e Comune. L’amministrazione punterebbe a chiedere circa 70mila euro a licenza, oltre il 50% in meno rispetto al prezzo medio di mercato, più gli sconti per auto green e accessibili.
Il guadagno dalle nuove licenze L’ultimo bando di concessione delle licenze a titolo oneroso in Italia risale al 2018. A emetterlo è stato il Comune di Bologna, che chiese a ogni aspirante tassista il versamento di 175mila euro.
Questi soldi, in base alla cosiddetta legge Bersani del 2006, venivano così suddivisi: fino al 20% alle città, che li devono utilizzare per migliorare il servizio di trasporto pubblico, il resto ai tassisti già come compensazione.
Nel decreto asset, invece, il governo Meloni ora ha alzato al 100 per cento l’indennizzo per i tassisti: i comuni possono aumentare le licenze, ma non incassano nulla, destinando l’intero ricavato alle auto già in servizio. Motivo per cui i sindaci hanno protestato e ora i tassisti protestano contro gli sconti concessi dai Comuni.
Bonus raddoppiato Non solo. Il governo ha previsto anche che gli ecobonus del 2024 siano raddoppiati per tutti i titolari di licenze taxi ed Ncc disposti a sostituire la propria auto usata.
Eppure scioperano.
Mentre Salvini, dopo aver invocato la precettazione per tutti gli altri scioperi del trasporto pubblico, in questo caso si è limitato a dire: «Se hanno pensato questo sciopero, liberi di farlo. Spero che i disagi per i cittadini siano limitati».