La scuola “reale” dove vi sono 2 categorie di docenti

“Il principale problema della scuola italiana è una qualità degli apprendimenti degli studenti insoddisfacente, come ci dicono i confronti con gli altri paesi europei. Comunque inadeguata a livello medio, la qualità degli apprendimenti dei nostri ragazzi e ragazze è soggetta, inoltre, a una grande variabilità, per via di molteplici divari e disuguaglianze. In primo luogo, territoriali, con il Sud in enorme ritardo, e socioculturali, a danno di chi proviene da un background svantaggiato. Ma anche di genere, con le ragazze più brave in quasi ogni area del sapere, ma non in quella scientifico-matematica; infine, di origine, a sfavore degli allievi di origine straniera.

Come sappiamo, la qualità degli apprendimenti dipende in misura consistente dalla qualità dell’insegnamento. Ed ecco qui la grande seconda criticità del nostro sistema d’istruzione: gli insegnanti non ricevono una formazione adeguata a farli stare al passo con l’evoluzione della didattica; inoltre, da decenni vengono reclutati attraverso un sistema di graduatorie che fa acqua da tutte le parti, non soddisfa i bisogni delle scuole e crea iniquità fra gli stessi docenti, con un eccesso di precariato non degno di un paese civile”(Andrea Gavosto). Ecco un esempio (di pregio) della scuola raccontata, analizzata, studiata. Poi c’e’ anche quella reale. Quest’ultima e’ quella che osserva un occasionale visitatore entrando dentro un edificio scolastico.

La sua prima impressione e’ netta: in quell’edificio puo’ predominare caos oppure ordine, in vari gradienti. Poi, percorrendo i corridoi e i piani, l’impressione puo’ essere quella di camminare lungo un marciapiede nell’ora di punta oppure in una strada tranquilla. Le porte delle aule sono generalmente chiuse, dal di dentro fuoriescono rumori di vario genere e tipo, sino ad urla belluine o agli schiamazzi piu’ atroci che disorientano. Qualche aula ha la porta aperta e si vedono dentro scolaresche intente ad ascoltare il professore. La scuola reale, che e’ quella osservata ogni giorno da un qualsiasi visitatore, dimostra come quegli insegnanti che giustamente Gavosto specifica “non ricevono una formazione adeguata a farli stare al passo con l’evoluzione della didattica”, siano riconducibili in due sole categorie: quelli che sanno tenere la classe (per identificarli li chiameremo forti) e quelli che non vi riescono (deboli). In ciascuna scuola basta chiedere ad un alunno e vi fornira’ l’elenco completo. I docenti possono essere infatti intelligenti o scemi, pozzi di scienza o di ignoranza, simpatici o antipatici, gretti o generosi, modesti o presuntuosi, assunti per concorso o con sanatoria, ma tutti stanno dentro una delle due categorie. Vi si entra per virtu’ innate, non ci sono scuole o corsi che insegnino a saper tenere una classe di 20 alunni, e’ una dote naturale come nascere biondi o bruni. Ecco spiegata l’unica cosa di cui in Italia, per ragioni storico-culturali, non si tiene conto, la piu’ grande rimozione che e’ avvenuta nell’ambito scolastico per il politically correct impostosi sin da quando i metodi correttivi hanno ripudiato (grazie a Dio) la bacchetta che impugnavano i nostri maestri degli anni cinquanta per imporre la disciplina. Nella scuola delle tante discipline si e’ pensato di poter fare a meno della disciplina comportamentale lasciando che fossero gli insegnanti, selezionati (in casi rari) sulla base di un ipotetico sapere disciplinare, a conquistarsela spontaneamente sul campo nei modi e nelle maniere che volessero. Parlavo di ragioni storiche e culturali perche’ in Italia il reclutamento di varie figure professionali nell’ambito dell’amministrazione pubblica non so bene perche’ vien fatto senza valutare affatto la personalita’ degli individui, quel che uno e’ prima di quello che sappia. Un magistrato che per indole sia un pavido, un poliziotto che non sia coraggioso, possono essere paragonati ad un docente che viene mandato in classe senza che abbia l’ascendente per governare un gruppo di alunni di varia indole e provenienza. Come spero sara’ piu’ chiaro alla fine, ogni discorso sulla scuola italiana dovrebbe esser condotto sulla base di due premesse che ormai invece nessuno considera piu’: 1) tutti i docenti che oggi insegnano nelle scuole non vengono da Marte, sono degli ex allievi: 2) ciascuno di noi se e’ ormai adulto e vaccinato sa bene che tutti i successi nel lavoro si conquistano con la fatica, talvolta durissima, e con tanti sacrifici. Dunque qualsiasi traguardo in qualsiasi campo non si ottiene trastullandosi.

Ho conosciuto una docente, e non sono il solo, che sapeva tenere la classe tanto da poterla lasciare incustodita recandosi fuori dalla scuola e poi facendovi ritorno dopo intere mezzore o piu’ senza che nessun alunno fosse uscito fuori dall’aula e senza che un solo rumore fosse sentito nel corridoio. Non alzava mai la voce, non faceva note, era temuta solo per i suoi voti e il suo rigore. Ma innanzitutto era rispettata dai suoi alunni, anche se non apprezzata da tutti. Nella scuola reale vi sono invece docenti, magari molto preparati ed irreprensibili i quali, non dotati di questa dote naturale, si trovano ogni giorno e ogni ora in grandissima difficolta’ a governare una scolaresca. Sopraffatti sino alla disperazione piu’ acuta, all’angoscia piu’ terribile. Eppure molto spesso sono docenti che concedono voti molto alti e generosi, forse nel tentativo di farsi voler bene, ma nonostante questo o forse proprio per questo, ogni classe loro assegnata va fuori controllo, diventa una baraonda, un caos, una nave senza cocchiero. Ripeto, quello che chiunque puo’ osservare entrando in una scuola e’ un tabu‘, rimosso dai media, e’ ormai con i decenni il segreto di Pulcinella con cui convivono i lavoratori della scuola e al quale fanno caso (scandalizzandosi non poco) solo i genitori.

“Da sempre, tenere la disciplina in classe è un problema per alcuni, a volte per molti docenti. Può essere ritenuto un “falso” problema, poiché il fenomeno disciplina-indisciplina non dipende da un fattore unico ma appare quale risultante dell’azione di più fattori. Il problema non ha quindi una sola soluzione. Cause multiple e diverse provocano una molteplicità di risultanti simili: il rumore, la disattenzione o la noia degli allievi, l’impossibilità di insegnare o la difficoltà a svolgere la lezione, in una parola l’indisciplina. Seppure si possa ritenere un “falso” problema, siamo portati ad occuparcene sollecitati dal ricorrere delle richieste di consulenza su quello che continua ad essere una delle principali difficoltà per certo numero di docenti, in particolare per i docenti alle prime esperienze d’insegnamento, ma non solo per loro.
La causa dell’indisciplina è quasi sempre attribuita alle caratteristiche di singoli allievi o del gruppo classe, ma questa non è che apparenza, che un’interpretazione superficiale. Quel clima non più sopportabile dal docente e improduttivo per l’apprendimento degli allievi che si usa chiamare indisciplina deriva da cause diverse che si sommano e interagiscono fra di loro. I fattori in gioco sono:
– le caratteristiche e le dinamiche del gruppo classe e le particolarità dei singoli allievi che lo compongono,
– il contesto scolastico e i valori veicolati dall’istituzione attraverso il clima interno della classe e dell’Istituto,
– la personalità del docente unitamente alle tecniche di cui dispone e di cui fa uso”. (Ezio Dozio)

La differenza tra la scuola reale italiana e quella degli altri paesi progrediti sta anche in questo particolare rimosso, l’indisciplina accettata in Italia all’estero e’ inconcepibile. Sino alle peculiarita’ di nazioni, come la Cina e la Corea, in cui il silenzio assoluto da osservare durante le lezioni (come da noi in chiesa) fa parte integrante della loro cultura. Poi ci sono studenti come quelli finlandesi che considerano lo star seduti per sei ore sui banchi una tortura essendo cola’ abituati a muoversi ogni cambio ora e spesso facendo lezione all’aperto. Le conseguenze che nella scuola reale provoca il docente che non sa tenere la classe sono molte. La prima e’ che non passa inosservata, il disturbo e’ provocato alle classi vicine e a chi passa per il corridoio. Ma quella piu’ importante di tutte sono i pericoli che corrono, o i danni che provocano, gli studenti senza alcun controllo. Infine il docente debole costruisce l’abitudine e quindi forma l’educazione dei suoi allievi. Se con il prof Tizio una scolaresca e’ abituata a muoversi, fuori o dentro l’aula, a urlare, gridare, cantare, imprecare, ridere, correre, toccarsi, e in sovrappiu’ anche ad ottenere buoni voti, pretendera’ di comportarsi allo stesso modo con tutti gli altri del consiglio di classe. Perche’ con Tizio e’ permesso quello che con gli altri e’ vietato? E se questo non succedera’ si lamenteranno sino a denigrare ogni prof. che pretende la disciplina. Anzi avverra’, ecco l’ultima conseguenza, un rovesciamento delle narrazioni. Sara’ il prof debole ad accusare il suo collega forte di tenere troppo compressi i suoi alunni, per cui essi come fossero una molla o un elastico, si estendono nel momento in cui subentra il collega. E’ un evidente tentativo di darsi un alibi, per giustificare le proprie classi fuori controllo, ma comporta che ad esser messi sotto accusa siano i docenti che non elargiscono a tutti voti alti e che sanno tenere la classe.

Col tempo, col passare degli anni e con lo svanire di ogni ricordo del significato della disciplina e della buona educazione, elevate il laissez faire e la liberta’ da qualsiasi limite a principi educativi, gli insegnanti che non sanno tenere la classe sono aumentati (perche’ ripeto ogni docente e’ un ex alunno) e l’altra categoria non solo si e’ assottigliata di numero ma e’ ormai messa sotto accusa con un rovesciamento logico che li vede ritratti come se fossero quelli che usano al giorno d’oggi la vecchia bacchetta di legno dei maestri elementari di una volta.

Insomma, il visitatore di una scuola reale puo’ osservare il contesto e sente da un’aula provenire schiamazzi, urla, rumori;  apre la porta e vede il docente in balia dei suoi alunni (magari tranquillamente sta leggendo indifferente il giornale con tutto quel frastuono); quel visitatore si chiede allora cosa ci faccia in una scuola quell’insegnante che non insegna ed e’ una caricatura del docente e dell’adulto…Questa domanda ( ci vuole l’ingenuita’ di un bambino per dire che il re e’ nudo) nessun politico o scienziato se la e’ mai posta, perche’?

In ogni situazione di insegnamento – apprendimento, fra allievi e docente si stabilisce una sorta di “contratto didattico” a cui ognuno si riferisce, ma le cui clausole non sono quasi mai esplicite. Il contratto didattico precisa sia il ruolo dell’allievo, sia quello del docente, sia quello del “sapere”, durante tutta la situazione didattica. Anche quando le regole del gioco non sono state definite esplicitamente, esiste un contratto implicito. Quando, ad es., il docente ha indicato che gli allievi possono lavorare “liberamente”, vige un contratto implicito che indica quali sono le regole da rispettare quando si lavora liberamente!

Nella scuola reale se chiediamo agli alunni di una classe il motivo del loro comportamento indisciplinato con quel docente essi ti chiederanno che male c’e’ a comportarsi cosi’; poi ti mostrano i loro voti buoni di profitto e questo dimostrerebbe che conoscono la materia. Piuttosto i voti sono bassi con quel docente forte che li comprime troppo, che e’ troppo esigente, che e’ autoritario. Ecco la parolina magica. Occorre essere autorevoli e non autoritari, un insulso gioco di parole, e nelle scuole reali e’ il motto che sulla loro bandiera hanno scritto i docenti della categoria lasca.

In verita’ soltanto i docenti che sanno tenere la classe insegnano le materie, questo lo sanno tutti quelli che lavorano in una scuola. Spiegano, interrogano, fanno fare i compiti scritti. L’altra categoria non riesce con tutta la buona volonta’ ad insegnare nulla, non riesce a spiegare se non per pochi minuti nel disinteresse generale, ad interrogare un alunno senza che tutti gli altri siano in altre faccende affancendati, a far svolgere una prova scritta con un lavoro individuale di ciascun alunno senza che si formi ben presto una cooperativa della copia conforme. Una categoria fa scuola, l’altra fa passare le ore. Ma quindi la scuola reale e’ diventata proprio la scuola passatempo, parcheggio mattutino dei figli per le famiglie, e i docenti si sono degradati da insegnanti a baby sitter. Quello che sappiamo tutti e che ripetiamo in maniera continua, ovvero che la scuola sforna titoli fasulli e inutili per trovare lavoro, e’ il risultato a valle di un processo di insegnamento retrocesso ad asilo nido per adolescenti. Che comincia a monte con una impossibilita’ di cui tutti gli addetti ai lavori si dichiarano vittime. La spiego cosi’: se nella scuola reale su 100 insegnanti ci sono 80 che non sanno tenere la classe gli studenti riceveranno voti alti senza acquisire alcun apprendimento. Tutto il personale che lavora in quella scuola sente il peso di questa impossibilita’ di cambiare le cose. Quegli 80, ci si chiede, ora che sono qui, docenti di ruolo, che facciamo, li licenziamo? Impossibile, ma cosi’ diventa impossibile far corrispondere insegnamento e apprendimenti. Tutti arriveranno alla meta, la maggior parte degli alunni senza aver ottenuto alcuna competenza. E poi la selezione la fara’ il mercato del lavoro, approfittando del fatto che ancora ci sono molti abbandoni e poi perche’ di tutta questa gente che va all’universita’ buona parte non riesce nemmeno a laurearsi. I pochi laureati italiani (pochi rispetto alle percentuali dei paesi stranieri) ottengono dopo svariati anni qualsiasi lavoro malpagato senza alcuna attinenza con quel che hanno studiato. La scuola allegra e facile che abbiamo creato ha un suo corrispettivo nel fatto che e’ difficilissimo trovare un lavoro. Il ruolo sociale degli insegnanti avendo perso ogni considerazione reputazionale tiene alla larga i piu’ bravi e immette nelle nostre aule una massa indistinta di docenti incapaci di tenere una classe e quindi di svolgere il loro lavoro. La cosa piu’ lapalissiana di tutte, in un’aula scolastica si puo’ lavorare se esiste ordine, silenzio, concentrazione, responsabilita’ collettiva, l’abbiamo dimenticata. Ma in realta’ lo sappiamo benissimo, il fatto e’ che a nessuno piace la fatica e lo studio e’ fatica. Come un atleta che per correre veloce i cento metri prima deve faticare ad allenarsi duramente. Qualsiasi risultato lo si ottiene attraverso la fatica. Lo vuoi avere un lavoro? E prima devi faticare. Nel nostro paese delle troppe scorciatoie, scorciatoia qui, scorciatoia li’, si finisce fuoristrada.